Agevolazioni

Nel 2020 raddoppia l’importo esente per i buoni spesa

di Aldo Bottini e Diego Paciello

Consentire alle imprese di riconoscere ai lavoratori, eventualmente anche ad personam, un contributo in natura più conveniente dal punto di vista fiscale e contributivo, sia per l’impresa che per il dipendente, rispetto a un’erogazione in denaro, immediatamente fruibile per le spese familiari correnti e senza che sia necessario adottare particolari formalismi.

Queste sembrano essere le motivazioni sottese alla previsione contenuta nella bozza del decreto Agosto, secondo cui, limitatamente al periodo d’imposta 2020, l’importo del valore dei beni ceduti e dei servizi erogati dall’azienda ai dipendenti che non concorre alla formazione del reddito in base all’articolo 51, comma 3, del Tuir dovrebbe essere elevato dagli attuali 258,23 a 516,46 euro.

Per comprendere la portata di tale misura, può essere utile ricordare che il comma 3 dell’articolo 51 del Tuir rappresenta la disposizione normativa in virtù della quale i datori di lavoro possono riconoscere ai dipendenti, anche ad personam, beni e servizi di qualsiasi genere, senza doverne assoggettare il valore a imposte e contributi. Infatti, tipicamente, è su questa previsione normativa che si fondano le erogazioni, anche di natura liberale, di buoni spesa, buoni carburante eccetera

Invece, fuori dall’ipotesi del comma 3, secondo quanto previsto dall’articolo 51, i piani welfare devono essere rivolti alla generalità o a categorie omogenee di dipendenti e, per fruire della non imponibilità ai fini fiscali e contributivi, sostanziarsi nel riconoscimento di beni e servizi aventi particolarità finalità e rientranti in determinate categorie.

È in parte a causa di tali limitazioni dal punto di vista soggettivo e oggettivo che, durante la fase emergenziale dovuta al Covid-19 e durante quella di ripartenza, le imprese spesso non hanno potuto utilizzare i piani di welfare per fornire supporto in modo selettivo ai dipendenti.

Se da un lato la previsione del Dl Agosto favorirà l’introduzione di nuovi programmi welfare, dall’altra offrirà vantaggi ai lavoratori delle imprese che già hanno piani di welfare fruibili nel corso del 2020 o che, quest’anno, stanno consentendo la conversione in welfare del premio di risultato maturato in precedenza: anche in questi casi, infatti, i dipendenti potranno fruire di beni e servizi di qualsiasi genere in misura superiore rispetto a quella prevista dalla norma finora, ovviamente qualora non abbiano già esaurito l’importo complessivo a loro spettante.

In ogni caso, è necessario rilevare come la novità in questione potrà trovare applicazione solo per pochi mesi. Sarà, quindi, necessario per le imprese attivarsi il prima possibile. Stante il tenore letterale del decreto, infatti, il maggior limite di valore per i beni e servizi esclusi da imposizione potrà riguardare solo quelli che i lavoratori percepiranno materialmente nel corso nel 2020 e non anche quelli che verranno percepiti in anni successivi qualora il diritto alla loro percezione dovesse, di fatto, sorgere quest’anno. Infatti, resta fermo che la determinazione del reddito di lavoro dipendente si fonda sul principio di cassa (seppur allargato al 12 gennaio dell’anno successivo) e non su quello di competenza. Ciò implica che il valore dei beni e dei servizi deve essere conteggiato ai fini del limite sopra indicato nel momento in cui gli stessi passano nella disponibilità patrimoniale del dipendente: ad esempio, nel caso di un buono spesa, nel momento in cui lo stesso viene consegnato al dipendente, a prescindere da quando viene speso.

A seconda delle circostanze, dunque, le imprese potranno attivarsi per informare quanto prima i dipendenti in merito alla nuova opportunità, provvedendo, nel caso, ad aggiornare i regolamenti aziendali o gli accordi sindacali su cui si fondano i piani welfare in essere, nonché i limiti di utilizzo gestiti dalle piattaforme online eventualmente utilizzate per la gestione degli stessi. Oppure potranno introdurre nuovi piani, scegliendo se farlo come liberalità, tramite appositi regolamenti aziendali oppure sottoscrivendo accordi sindacali, valutando ovviamente i conseguenti diversi limiti di deducibilità dei costi dal reddito di impresa.

In ogni caso, posto che il comma 3 dell’articolo 51 del Tuir prevede che il valore dei beni ceduti e dei servizi erogati concorra interamente a formare il reddito se eccede il limite finora previsto di 258,23 euro, che verrebbe innalzato solo per il 2020 a 516,46 euro, sarà necessario per le aziende valutare gli eventuali conguagli da effettuare al fine di applicare il nuovo limite di esclusione anche nei confronti di quei lavoratori che, avendo già percepito nel corso del 2020 beni e servizi per un valore eccedente la vecchia soglia, ma inferiore a quella nuova, sono già stati assoggettati a imposizione fiscale e contribuzione per l’intero valore ma che, alla luce della nuova soglia di non imponibilità, non dovrebbero più esserlo.

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