Contenzioso

Legittimo il calcolo (ridotto) della pensione di reversibilità nel pubblico impiego

di Silvano Imbriaci

La Corte costituzionale (sentenza 227 del 26 settembre 2014) si è pronunciata sulla legittimità costituzionale di alcune norme pensionistiche (articolo 1, commi 774, 775 e 776, della legge 296/2006, sostanzialmente interpretative dell'articolo 1, comma 41, legge 335/1995) in materia di trattamenti di reversibilità nel settore pubblico.

Mentre nel settore privato la percentuale spettante a titolo di reversibilità al coniuge superstite (60% della pensione originaria) è calcolata in modo onnicomprensivo, nel pubblico il sistema prevedeva un meccanismo di calcolo con l'applicazione dell'indennità integrativa speciale in misura piena, quale voce che si andava ad aggiungere alla reversibilità calcolata sulla pensione diretta. L'articolo 15 della legge 724/1994 aveva introdotto dei correttivi, imponendo la determinazione della pensione sulla base degli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, ma aveva comunque fatto salvo (comma 5) il regime precedente per le pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 e alle pensioni di reversibilità ad esse riferite.

Successivamente l'articolo 1, comma 41 della legge 335/1995 aveva unificato le modalità di calcolo del settore privato e di quello pubblico. Tuttavia, ciò non aveva impedito il sorgere di un nutrito contenzioso, incentrato sulla applicabilità alle pensioni dirette liquidate ante 31 dicembre 1994 della clausola di salvezza (calcolo della indennità integrativa speciale in misura intera). Il dibattito era stato risolto dalla Corte dei conti (numero 8/2002/QM), a Sezioni riunite, in senso favorevole ai titolari della reversibilità, con successivo consolidamento di un orientamento maggioritario confermativo.

Le norme censurate riguardano il successivo intervento legislativo in sede di interpretazione autentica (articolo 1, commi 774, 775 e 776, della legge 296/2006) con estensione del trattamento vigente nell'assicurazione generale obbligatoria (calcolo dell'indennità integrativa speciale nella quota) a tutte le pensioni di reversibilità del settore pubblico sorte a decorrere dall'entrata in vigore della legge 335/1995, e contestuale abrogazione dell'articolo 15 della legge 724/1994 (norma che aveva previsto la clausola di salvezza).

Tale interpretazione, giunta alcuni anni dopo la sistemazione della materia da parte della Corte dei conti, avrebbe procurato, di fatto, secondo l'ordinanza di rimessione, un danno non trascurabile nei confronti di tutti gli interessati che avevano fatto affidamento sul (“monolitico”) orientamento giurisprudenziale del giudice contabile, anche con riferimento all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, norma che limita fortemente l'utilizzazione di clausole interpretative concernenti disposizioni oggetto di procedimenti nei quali risulta parte lo Stato.

La questione è già stata affrontata e risolta dalla Corte costituzionale (ad esempio con la sentenza 1/2011) nel senso della legittimità della norma impugnata. Ad oggi, ad avviso della Corte, non vi sono motivi ulteriori o diversi per non ritenere ancora valide le argomentazioni contenute nei precedenti interventi. In particolare, l’abrogazione dell'articolo 15 corrisponde a una ragionevole esigenza di intervenire sul riequilibrio di risorse e nel rispetto delle esigenze di bilancio; e tale intervento si pone a pieno titolo all'interno dei limiti indicati dall'articolo 6 della Convenzione (si tratta di motivi imperativi di interesse generale).

In ogni caso, aggiunge la Corte, l'intervento legislativo censurato non può essere riconosciuto arbitrario, in quanto il legislatore si è limitato, nella sua legittima discrezionalità, ad assumere come referente un orientamento giurisprudenziale comunque presente, anche se nettamente minoritario rispetto a quello espresso dalle Sezioni riunite della Corte dei conti, e dunque con legittima adesione ad uno dei possibili significati della norma interpretata.

Del resto, nella materia pensionistica, per definizione incentrata su rapporti di durata, è difficile ipotizzare un legittimo affidamento nella immutabilità di rapporti e situazioni, a maggior ragione dove tale pretesa stabilità sia determinata da un orientamento giurisprudenziale, sia pure consolidato, che ha ritenuto fondata una delle possibili interpretazioni della normativa censurata.

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