Contenzioso

Il datore di lavoro può porre in aspettativa non retribuita per tossicodipendenza

di Aldo Calza


Il tribunale di Milano (sentenza 2761/2014) ha affermato la liceità della collocazione unilaterale in aspettativa disposta da parte dell'azienda nei confronti del dipendente inidoneo temporaneamente al lavoro per accertato stato di tossicodipendenza.

Ai sensi dell'articolo 124 del Dpr 309/1990 “i lavoratori di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza, i quali intendono accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle unità sanitarie locali o di altre strutture terapeutico-riabilitative e socio-assistenziali, se assunti a tempo indeterminato, hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative è dovuta all'esecuzione del trattamento riabilitativo e, comunque, per un periodo non superiore a tre anni”.

La norma non aiuta a risolvere i dubbi che sorgono qualora il dipendente che partecipi a un programma terapeutico di riabilitazione dalla tossicodipendenza non si avvalga della facoltà di essere collocato in aspettativa e pretenda invece di poter lavorare durante il periodo di riabilitazione, anche eventualmente in mansioni diverse dalle precedenti e compatibili con la temporanea inidoneità.

Non si tratta di una ipotesi meramente scolastica, in quanto spesso il lavoratore tossicodipendente, pur di non rimanere senza reddito (effetto inevitabile della collocazione in aspettativa non retribuita), pretende di poter lavorare anche durante la riabilitazione.
E quando ciò accade, l'azienda si trova nella difficile condizione di dover licenziare un dipendente che, per espressa previsione di legge, ha diritto alla conservazione del posto per la durata del percorso riabilitativo (con il solo limite massimo di tre anni) oppure si trova nella insostenibile condizione di dover retribuire un dipendente che non può svolgere alcuna mansione.

Nella vicenda in esame, l'azienda “sfidava” lo stato di incertezza generato dalla norma e, a tutela del dipendente e per preservarne il posto di lavoro, lo collocava unilateralmente in aspettativa non retribuita. Per tutta risposta, dopo pochi mesi il lavoratore si dimetteva per asserita giusta causa motivata in ragione della asserita illegittima privazione del reddito e agiva giudizialmente per il riconoscimento della sussistenza della giusta causa di dimissioni e per il pagamento del preavviso e delle retribuzioni maturate durante il periodo di aspettativa non retribuita.

Il tribunale di Milano, rigettando tutte le domande formulate dal lavoratore, ha fatto chiarezza sull'argomento, affermando che al diritto alla conservazione del posto previsto per il lavoratore tossicodipendente inserito in un percorso riabilitativo fa da inevitabile contraltare la facoltà per il datore di lavoro di collocarlo unilateralmente in aspettativa non retribuita per tutta la durata della riabilitazione (fino a un massimo di tre anni).
Il tossicodipendente ha diritto di curarsi e di vedersi conservato il posto di lavoro, ma tale diritto non può porre il datore di lavoro nell'alternativa di dover retribuire (senza farlo lavorare) o nel dover a tutti i costi far lavorare un dipendente che non è nelle condizioni di poter svolgere correttamente qualsivoglia mansione e tantomeno di dover licenziare un dipendente illicenziabile.

Il principio affermato dal tribunale di Milano tutela sia le aziende che hanno a cuore il difficile percorso di riabilitazione dei lavoratori affetti da tossicodipendenze, sia i lavoratori che in buona fede lottano per uscire dalla triste condizione della tossicodipendenza.

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