Contenzioso

L'indennità di mobilità è incompatibile con lo svolgimento di lavoro autonomo

di Angelo Zambelli

A distanza di poco più di dieci anni da un'analoga, importante sentenza in tema (la numero 15890 del 4 agosto 2004), la Corte suprema di cassazione è tornata a pronunziarsi in relazione alla possibilità di continuare a percepire l'indennità di mobilità anche quando si inizi a svolgere attività di lavoro autonomo. Nel caso di specie, un'attività che «si colloca nella zona di confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, trattandosi, pacificamente, di un'attività (amministratore di società di capitali) stabile e remunerata resa in regime di parasubordinazione».

La sentenza numero 20826, depositata il 2 ottobre 2014, conferma l'indirizzo negativo della giurisprudenza di legittimità e si segnala per esaustività. Il punto di causa verteva sull'interpretazione dell'articolo 7, comma 5, della Legge 223/91, secondo cui «i lavoratori in mobilità che ne facciano richiesta per intraprendere un'attività autonoma o per associarsi in cooperativa in conformità alle norme vigenti possono ottenere la corresponsione anticipata dell'indennità nelle misure indicate nei commi 1 e 2 (…)».

La lavoratrice sosteneva che «da una lettura sistematica» di questa norma discenderebbe «implicitamente (…) la compatibilità tra il diritto alla indennità e lo svolgimento di lavoro autonomo, riguardando tale disposizione solo la modalità di erogazione della prestazione (…) non già il diritto dalla sua corresponsione».

Per contraddire una simile, ardita tesi, la Corte ricorda innanzitutto la disciplina dell'indennità di mobilità come dettata dall'articolo 7, per quanto attiene il diritto al trattamento in questione; dall'articolo 8, comma sesto, per quanto attiene la possibilità, per il lavoratore subordinato, «di svolgere attività di lavoro subordinato, a tempo parziale, ovvero a tempo determinato, mantenendo l'iscrizione nella lista»; nonché dall'articolo 9, per quanto attiene le ipotesi di cancellazione dalla lista di mobilità: cinque di carattere sanzionatorio, tre di natura differente (come quella di cui all’articolo 7, comma 5).

Dopo di che segnala come, innanzitutto, la tesi prospettata dalla lavoratrice non tenga affatto conto della ratio di quanto disposto dal comma quinto, vale a dire «indirizzare e incentivare il disoccupato in mobilità verso attività autonome»: con la conseguenza che l'indennità non si configura più come ammortizzatore sociale, bensì (come da sempre affermato dalla giurisprudenza di legittimità) come «contributo finanziario destinato a sopperire alle spese iniziali di un'attività che il lavoratore in mobilità svolgerà in proprio (…)», con il fine ultimo non soltanto di creare nuovi imprenditori, bensì anche di tentar di ridurre l'aspetto meramente assistenzialistico dell'ammortizzatore sociale, «sollecitando una partecipazione “attiva” da parte del lavoratore nella ricerca di una nuova occupazione».

È evidente, quindi, che la lettura sistematica della norma invocata porta a conclusioni diametralmente opposte da quelle illustrate dalla lavoratrice, dovendosi escludere (salvo le eccezioni di cui all'articolo 9, comma 9, della legge 223/91) che possa esserci compatibilità tra la percezione dell'indennità di mobilità e lo svolgimento di lavoro autonomo.

La Corte ricorda poi che – secondo l'interpretazione dell'articolo 7, comma 12, della legge 223/91, svolta dalle Sezioni unite con sentenza 17389/2002 – per gli aspetti dell'indennità di mobilità non espressamente o diversamente regolamentati è possibile rifarsi alla disciplina dell'indennità di disoccupazione, attesa l'analogia (per finalità e struttura) tra i due istituti.

Pertanto, risultano applicabili quei condivisibili principi giurisprudenziali secondo cui laddove «lo svolgimento di un'attività lavorativa autonoma» risulti «suscettibile di reddittività» vengono meno tanto il diritto all'indennità di disoccupazione quanto il diritto dell'indennità di mobilità. Ineccepibile.

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