Contenzioso

Rapporto a termine per i «picchi»

di Marzia Sansone

La causale relativa alle «punte di intensa attività non fronteggiabili con il ricorso al normale organico» è ascrivibile alle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che consentono, ai sensi dell'articolo 20, comma 4, del Dlgs 276/2003, il ricorso alla somministrazione a tempo determinato.

Il riferimento a essa, quindi, costituisce valido requisito formale del contratto di somministrazione in considerazione della necessità di distinguere, sul piano tecnico giuridico, i due istituti del contratto a termine e di quello di somministrazione; le ragioni di cui all'articolo 20, comma 4 del Dlgs 276/2003, infatti, devono considerarsi presupposti giustificativi oggettivi ed effettivamente sussistenti, con la conseguenza che l'enunciazione delle stesse non deve rispondere al livello di dettaglio proprio del contratto a termine. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 21001 del 20 maggio 2014 (depositata il 6 ottobre scorso), con cui i giudici hanno ribadito che, ferma la validità di questa causale, l'onere della prova della effettiva esistenza di tali ragioni, in caso di contestazione, grava sull'utilizzatore. In questo senso, la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d'appello di Venezia che ha condannato la società utilizzatrice al ripristino del rapporto di lavoro con il lavoratore somministrato, sulla base della constatazione che la società non aveva fornito la prova del collegamento delle commesse alla specifica utilizzazione del lavoratore.

Tuttavia, la Corte ha accolto il ricorso nella parte in cui la società utilizzatrice lamentava - nella determinazione del risarcimento del danno spettante al lavoratore - la mancata applicazione, da parte della Corte d'appello, del disposto di cui all'articolo 32, comma 5, della Legge n. 183/2010 (cosiddetto collegato lavoro), che prevede, per i casi di conversione del contratto a tempo determinato, la condanna al risarcimento del danno stabilendo un'indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 604/1966.

In particolare, la Cassazione ha confermato l'orientamento di legittimità che sostiene un'interpretazione di tipo sostanzialista della norma, che include nel suo raggio di applicazione sia il lavoro somministrato che quello temporaneo. La Corte, infatti, sottolinea l'ampiezza della formula utilizzata dalla norma («casi di conversione del rapporto»), specificando come, ai fini dell'applicazione della stessa, rilevi esclusivamente la natura a tempo determinato del rapporto di lavoro e la sussistenza di un momento di conversione; del tutto irrilevante, invece, è la circostanza che la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato sia preceduta dalla conversione soggettiva del rapporto (nel caso di specie, dall'Agenzia di somministrazione al datore di lavoro utilizzatore). Pertanto, anche in caso di conversione del rapporto di lavoro conseguente a somministrazione irregolare, ai fini del ristoro dell'intero pregiudizio subito dal lavoratore per la denunciata irregolarità (in ossequio all'interpretazione autentica della norma fornita dall'articolo 1, comma 13, della legge 92/2012), il giudice, dovrà condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, nei limiti della indennità omnicomprensiva introdotta dal collegato lavoro.

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 21001 del 6 ottobre 2014

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