Contenzioso

Iva, ex amministratori al riparo

di Antonio Iorio

Non risponde del reato di omesso versamento Iva l'ex legale rappresentante della società anche se risulta essere ancora socio e ha firmato la dichiarazione dalla quale emergeva il debito. Il responsabile della condotta illecita, infatti, è colui che risulta alla scadenza prevista per legge. Ad affermarlo è la sentenza 42002/2014 della Cassazione depositata ieri.

Una società ha omesso di versare l'Iva, per l'anno 2006, per circa 180mila euro. Al rappresentante legale è stato contestato il delitto previsto dall'articolo 10-ter del Dlgs 74/2000. L'imprenditore è stato condannato sia in primo grado sia in appello, nonostante avesse eccepito di non essere il legale rappresentante dell'azienda al momento della scadenza dell'obbligo tributario. In particolare, secondo la Corte d'appello, poiché il rappresentante era il firmatario della dichiarazione Iva, gravava su di lui comunque un dovere di attenzione e di sorveglianza sull'esatto adempimento degli obblighi che derivavano dalla sua dichiarazione. E, poiché era ancora socio dell'impresa, aveva ampi poteri di amministrazione secondo lo statuto e, di conseguenza, ogni facoltà e potere, per eseguire l'adempimento fiscale.

L'imputato ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza d'appello, lamentando che la responsabilità del reato doveva essere attribuita solo a chi, rivestendo la qualifica di legale rappresentante, aveva il dovere di eseguire il pagamento al momento della scadenza stessa.

I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso. A loro avviso, l'omesso versamento disciplinato (articolo 10-ter del Dlgs 74/2000) è un reato omissivo in senso stretto e pertanto può essere commesso solo da chi, in base alla normativa tributaria, ha l'obbligo di adempiere materialmente all'obbligazione alle prescritte scadenze. Nel caso esaminato, il rappresentante legale si era dimesso dopo la presentazione della dichiarazione, ma prima della scadenza dell'acconto. Pertanto al 27 dicembre di quell'anno il rappresentante era un terzo soggetto diverso dall'imputato, al quale non si potevano attribuire obblighi tributari in tal senso.

A tal proposito, la Cassazione ha affermato che a nulla rileva la firma materiale della dichiarazione, poiché ai fini dell'integrazione del reato risponde chi alla prevista scadenza non versa la somma dovuta.

Il collegio di legittimità ha inoltre precisato che, nonostante fosse anche socio, non poteva essergli riconosciuto «un generico potere rappresentativo» della compagine sociale, attribuito secondo i termini statutari a tutti i soci. A tal fine, infatti, è necessaria un specifica autorizzazione volta all'attuazione dei doveri tributari. Da qui l'accoglimento del ricorso.

L'auspicio è che la pronuncia abbia definitivamente chiarito la non responsabilità del precedente rappresentante legale. Sulla questione, infatti, non sempre la Cassazione ha avuto un orientamento univoco. Mentre, ad esempio, la sentenza 3636/2014 ha ritenuto responsabile il nuovo amministratore subentrato pochi giorni prima della scadenza del termine, con successive sentenze è stato ritenuto che il mancato accantonamento dell'Iva incassata comportava la responsabilità, almeno a titolo di concorso (sentenza 12268/2013) del precedente amministratore, e ancora (sentenza 12248/2014) che il medesimo poteva rispondere del delitto ove il Pm avesse dimostrato che le sue dimissioni fossero dipese proprio per non saldare il debito con il Fisco ed evitare le conseguenze sanzionatorie.

Sentenza 42002 della Cassazione

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