Contenzioso

Vies, con la cancellazione resta la non imponibilità

di Renato Portale

La cancellazione retroattiva dell'acquirente dal Vies non può far considerare il fornitore comunitario debitore dell'Iva nel suo paese. È quanto emerge della sentenza emanata ieri dalla Corte di giustizia Ue (causa C-492/13), a favore di una società bulgara che nell'anno 2011 si era visto negare la non imponibilità per una cessione comunitaria.

Con riferimento alle cessioni intracomunitarie non imponibili (o «esenti» secondo la dizione comunitaria) i giudici hanno affermato che se il cedente ha fornito le prove richieste dalla sua amministrazione per dimostrare la validità di una cessione intraUe:
• non è necessario che dimostri anche l'autenticità della firma figurante sui documenti di trasporto;
• non ha l'obbligo di dimostrare che la persona che ha sottoscritto i documenti di trasporto in nome dell'acquirente, avesse la facoltà di rappresentare quest'ultimo.

Tali considerazioni sono ancor più valide se l'amministrazione fiscale locale in un primo momento ha convalidato la non imponibilità della cessione e, in un secondo momento, rilevando la retroattiva cancellazione della partita Iva dell'acquirente ha negato l'esenzione e chiesto l'imposta nel Paese del cedente.

Le motivazioni della pronuncia ribadiscono e richiamano i principi comunitari di «proporzionalità», di «certezza del diritto» e di «tutela del legittimo affidamento» che devono sempre essere riconosciuti al contribuente in buona fede, a meno che non venga provata una sua partecipazione a una frode avvenuta nel Paese dell'acquirente.

Il secondo punto della sentenza dichiara che l'articolo 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/Ce laddove afferma che «gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Comunità... effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo,… in uno Stato membro diverso da quello di partenza della spedizione o del trasporto dei beni» , è dotato di effetto diretto. Quindi può essere invocato dai soggetti passivi dinanzi ai giudici nazionali per «ottenere un'esenzione dall'Iva per una cessione intracomunitaria».

La vicenda
Una società bulgara nella dichiarazione Iva relativa all'intervallo dal 1° settembre al 31 ottobre 2009 aveva chiesto il rimborso dell'Iva sugli acquisti del periodo, dichiarando di aver effettuato cessioni intracomunitarie esenti a una società con sede in Grecia e producendo documenti richiesti dalla legislazione interna. Dopo una verifica nella banca dati elettronica Vies, svolta il 7 ottobre e il 2 novembre 2009, l'amministrazione bulgara aveva riconosciuto la detrazione e il rimborso. Poi, con una successiva verifica fiscale, l'amministrazione bulgara aveva consultato nuovamente la banca dati Vies constatando che la società greca non era più identificata ai fini Iva dal 15 gennaio 2006. Pertanto, il 17 maggio 2011 aveva emanato un avviso di accertamento, assoggettando le operazioni di vendita verso la società greca all'imposta locale, in quanto le condizioni di esenzione previste dalla normativa interna non erano realizzate.

Il giudizio della Corte
Secondo i giudici del Lussemburgo, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, in mancanza di specifiche disposizioni nella direttiva Iva, per quanto riguarda le prove che i soggetti passivi sono tenuti a fornire per beneficiare dell'esenzione, spetta agli Stati membri fissare le condizioni alle quali le cessioni intracomunitarie sono da essi esentate. Tuttavia, nell'esercizio dei loro poteri, gli Stati devono rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell'ordinamento giuridico dell'Unione, come, in particolare, i principi di certezza del diritto, di proporzionalità e del legittimo affidamento. Comunque, dal momento che l'obbligo di verificare la qualità del soggetto passivo incombe all'autorità nazionale competente prima che quest'ultima attribuisca a tale soggetto un numero di partita Iva, un'eventuale irregolarità non può comportare che a un operatore sia negata l'esenzione cui avrebbe diritto.

Sentenza C-492/13

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