Contenzioso

La conciliazione non salva dai licenziamenti collettivi

di Aldo Bottini

Il tribunale di Milano, con una ordinanza pronunciata il 16 ottobre, afferma che l'attivazione della procedura di conciliazione preventiva prevista dall'articolo 7 della legge 604/66 per più di quattro lavoratori nell'arco di 120 giorni, in relazione alla medesima necessità di riorganizzazione, determina l'illegittimità dei licenziamenti successivamente intimati, quale che sia il numero di questi ultimi. Ciò in quanto l'intenzione di effettuare un numero di licenziamenti superiore a 4 avrebbe dovuto portare alla attivazione della diversa e specifica procedura di informazione e consultazione sindacale prevista per i licenziamenti collettivi dalla legge 223/91. Nella fattispecie l'azienda aveva effettivamente inviato, alla Dtl e a ciascuno dei lavoratori interessati, sei comunicazioni che dichiaravano l'intenzione di procedere ad altrettanti licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, come previsto dalla norma introdotta dalla riforma Fornero per le aziende aventi i requisiti dimensionali per l'applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. I licenziamenti però, all'esito della procedura, non erano stati più di quattro: in particolare, uno dei lavoratori aveva risolto consensualmente il rapporto nell'ambito della procedura e per un altro era stata trovata una soluzione conservativa del rapporto di lavoro. L'azienda aveva quindi affidato le sue difese al fatto che i licenziamenti effettivamente intimati non avessero superato la soglia numerica prevista per qualificare l'operazione come licenziamento collettivo, con le conseguenti diverse tutele procedurali.

Il Tribunale di Milano ha disatteso la tesi aziendale, rilevando che ciò che conta, ai fini della qualificazione della fattispecie, è la dichiarata intenzione di licenziare, e non il successivo licenziamento.

L'articolo 24 della legge 223/91, che definisce la fattispecie del licenziamento collettivo, è assolutamente chiara, secondo il Tribunale, nel dare rilievo alla intenzione di procedere al licenziamento e non alla effettiva irrogazione del medesimo. A supporto della propria decisione, il Tribunale richiama il costante orientamento della Cassazione secondo cui, ai fini dell'applicazione delle disposizioni della legge 223/91, rileva l'intenzione di effettuare almeno cinque licenziamenti nell'arco di 120 giorni, mentre resta irrilevante che il numero dei licenziamenti attuati all'esito delle procedure sia eventualmente inferiore. Il Tribunale sottolinea poi che la risoluzione del rapporto pattuita nel corso della procedura di conciliazione preventiva davanti alla Dtl non vale a escludere il lavoratore interessato dal computo della soglia numerica, posto che la tale risoluzione consensuale è successiva alla comunicazione dell'intenzione di licenziare.

È la dichiarata intenzione di licenziare che fa scattare “il contatore” che può portare all'obbligo di attivare la procedura di licenziamento collettivo. E la procedura di conciliazione preventiva introdotta dalla riforma Fornero consiste appunto nella comunicazione dell'intenzione di licenziare. Il Tribunale dunque aderisce, senza citarlo, all'orientamento assunto dal ministero del Lavoro che, con la circolare 3 del 16 gennaio 2013, aveva sollecitato le Dtl a ritenere a priori inammissibili i tentativi di conciliazione preventiva attivati per i medesimi motivi in misura superiore a quattro in 120 giorni, invitando in tal caso datore di lavoro ad avviare la procedura di licenziamento collettivo per i medesimi motivi.

Una volta accertata l'illegittimità del licenziamento in questione per mancata applicazione della procedura di licenziamento collettivo, il Tribunale si pone il problema della sanzione applicabile.

Secondo il giudice milanese, la totale omissione della procedura è cosa diversa dalla violazione della medesima, e quindi non può dar luogo alla sanzione meramente economica prevista dall'articolo 18, comma 7, terzo periodo. Si tratta piuttosto, secondo il Tribunale di una situazione assimilabile alla violazione dei criteri di scelta nel licenziamento collettivo, in quanto incide sotto un profilo sostanziale (e non meramente formale) della legittimità del licenziamento. Il rimedio applicato è dunque la reintegrazione nel posto di lavoro.

L'ordinanza del Tribunale di MIlano

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