Contenzioso

Rassegna della Cassazione 24 novembre - 3 dicembre 2014

di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Licenziamento illegittimo e risarcimento del danno

Opzione per l'indennità sostitutiva della reintegra e estinzione del rapporto di lavoro

Trasferimento d'azienda e diritti già maturati del lavoratore

Licenziamento collettivo e comunicazione del recesso

La subordinazione nel lavoro giornalistico

Licenziamento illegittimo e risarcimento del danno

Cass. Sez. Lav. 27 novembre 2014, n. 25244

Pres. Macioce; Rel. Bronzini; P.M. Ceroni; Ric. Assicurazioni G. S.p.A.; Contr. L.M.R.;

Licenziamento illegittimo - Risarcimento del danno - Retribuzione globale di fatto - Elementi costitutivi - Onere della prova - Incombe sul lavoratore.

In caso di licenziamento dichiarato illegittimo, è onere del lavoratore fornire prova adeguata in merito all'entità e alla composizione della retribuzione globale di fatto, goduta al momento del recesso, da prendere come base per il calcolo del risarcimento del danno.

Nota - Con sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Nola era stata dichiarata l'illegittimità del licenziamento intimato ad una lavoratrice ed il datore di lavoro era stato condannato alla reintegrazione nel posto di lavoro oltre che al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dalla data del recesso alla effettiva reintegra. Avverso tale statuizione il datore di lavoro proponeva appello evidenziando che, erroneamente, il Tribunale aveva incluso, nell'ambito della retribuzione globale di fatto, compensi che non avevano il carattere della continuità. La corte di appello di Napoli, respingeva il gravame rilevando che la lavoratrice aveva indicato chiaramente nel ricorso introduttivo l'ammontare della retribuzione mensile, depositando, a riprova, anche una busta paga. Sul punto il datore di lavoro nulla aveva dedotto e, quindi, l'ammontare della retribuzione doveva ritenersi pacifico.

Avverso tale decisione il datore di lavoro propone ricorso per cassazione lamentando che i giudici di merito abbiano ricavato l'ammontare della retribuzione globale di fatto unicamente dalle allegazioni della lavoratrice comprovate dalla produzione di una sola busta paga. La Suprema Corte accoglie il ricorso, evidenziando, in primo luogo, che dagli atti di causa emergeva che i conteggi di controparte erano stati tempestivamente contestati dalla società convenuta con la memoria di costituzione di primo grado; in ogni caso, la Cassazione ritiene palesemente inadeguato, ai fini della prova, che la lavoratrice abbia prodotto una sola busta paga, peraltro neppure relativa al mese precedente alla data del recesso. A parere della Suprema Corte è errata anche l'affermazione, contenuta nella sentenza di appello, di irrilevanza del modello 101 prodotto - attinente alla dichiarazione dei redditi - atteso che al contrario, dallo stesso era facilmente evincibile che la retribuzione annua della lavoratrice non era certamente pari a 12 volte la retribuzione indicata nella busta paga prodotta. Pertanto, la sentenza viene cassata con rinvio alla corte di appello, sulla base del principio di diritto che è onere del lavoratore che agisce in giudizio provare l'entità della retribuzione globale di fatto al momento del recesso: nel caso in esame non è emersa una prova sufficiente della retribuzione assunta come base per il calcolo del risarcimento del danno.




Opzione per l'indennità sostitutiva della reintegra e estinzione del rapporto di lavoro

Cass. Sez. Lav. 3 dicembre 2014, n. 25607

Pres. Roselli; Rel. Manna; Ric. G.S.; Controric. RFI S.p.A.;

Lavoro - Lavoro subordinato - Estinzione del rapporto - Licenziamento individuale- Reintegrazione nel posto di lavoro (Tutela reale) - Opzione del lavoratore per l'indennità sostitutiva della reintegra nel posto di lavoro - Effetti - Estinzione immediata del rapporto di lavoro - Decorrenza - Dalla comunicazione al datore di lavoro - Conseguenze - Cessazione dell'obbligo retributivo - Inadempimento nel pagamento dell'indennità - Disciplina della "mora debendi" ex art. 429 cod. proc. civ. - Applicabilità - Prova del danno ulteriore - Ammissibilità - Onere del lavoratore.

In caso di licenziamento illegittimo, ove il lavoratore, nel regime della cosiddetta tutela reale (nella specie, quello, applicabile "ratione temporis", previsto dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92), opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 18, quinto comma, cit., il rapporto di lavoro, con la comunicazione al datore di lavoro di tale scelta, si estingue senza che debba intervenire il pagamento dell'indennità stessa e senza che permanga - per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro - alcun obbligo retributivo. Ne consegue che l'obbligo avente ad oggetto il pagamento della suddetta indennità è soggetto alla disciplina della "mora debendi" in caso di inadempimento, o ritardo nell'adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, con applicazione dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore.

Nota - Con sentenza del 2010 la Corte d'Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Roma, rigettava la domanda di un lavoratore - che in precedenza aveva ottenuto un ordine di reintegra nel posto di lavoro ex art. 18 Stat. Lav. nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la legge n. 92/2012 - intesa ad ottenere la condanna della società datrice di lavoro a pagargli le retribuzioni maturate nell'intervallo di tempo compreso fra la data in cui egli aveva esercitato il diritto di opzione per le 15 mensilità di cui al co. 5 del cit. art. 18 (nel testo all'epoca vigente) e il momento in cui tale indennità gli era stata in concreto versata.

Il lavoratore ricorreva per Cassazione lamentando violazione e falsa applicazione dei commi 4° e 5° dell'art. 18 Stat. lav., degli artt. 12 e 14 delle preleggi e degli artt. 1285 e 1286 c.c., per avere l'impugnata sentenza aderito all'orientamento giurisprudenziale espresso da Cass. n. 3775/09 - secondo cui la manifestazione dell'opzione per il pagamento delle 15 mensilità in luogo della reintegra nel posto di lavoro estingue il rapporto alla data stessa della manifestazione di volontà del lavoratore, pur se l'azienda non gli ha ancora versato l'indennità - nonostante che il contrario indirizzo interpretativo fosse prevalente nella giurisprudenza di legittimità, sia prima che dopo la citata sentenza n. 3775/09, e fosse altresì condiviso da Corte Cost. n. 81/1992.

La Suprema Corte ha rigettato tale motivo, conformandosi all'orientamento espresso dalle recenti pronunce Cass. n. 18353 e n. 18354 del 27 agosto 2014 delle Sezioni Unite della Cassazione. Esse hanno affermato che ove il lavoratore illegittimamente licenziato in regime di c.d. tutela reale - nel testo precedente le modifiche introdotte con la L. 28 giugno 2012, n. 92 - opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 18, comma 5, Stat. Lav., il rapporto di lavoro si estingue non appena tale opzione viene comunicata al datore di lavoro, senza che debba intervenire il pagamento dell'indennità stessa e senza che permanga alcun obbligo retributivo per il periodo successivo giacchè la prestazione lavorativa non è più dovuta. Ne consegue, a parere della Corte, che in caso di inadempimento o ritardo nel pagamento di tale indennità si applica il regime della mora debendi proprio delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, con applicazione dell' art. 429, comma 3, fatta salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore.




Trasferimento d'azienda e diritti già maturati del lavoratore

Cass. Sez. Lav. 25 novembre 2014, n. 25021

Pres. Roselli; Rel. Ghinoy; Ric. Nuove Acque S.p.A.; Controric. G.R. e altri;

Lavoro (rapporto di) - Lavoro subordinato - Trasferimento d'azienda - Diritti del prestatore di lavoro - Diritti già maturati da parte dei dipendenti dell'impresa ceduta - Anzianità - Conservazione - Rilevanza ai fini della corresponsione degli scatti di anzianità - Limiti - Esclusione

Nel caso di trasferimento di azienda, il riconoscimento, in favore dei lavoratori dell'azienda ceduta, dell'anzianità maturata presso il cedente non implica che il cessionario debba corrispondere gli scatti in riferimento a tale anzianità, ove presso il datore di lavoro precedente non esistesse il diritto a percepire gli scatti periodici di anzianità, essendo questi dovuti solo a partire dal periodo lavorativo regolato dalla contrattazione collettiva applicata presso il cessionario.

Nota - La sentenza in commento affronta la questione della configurabilità in capo ai lavoratori traferiti nell'ambito di una cessione d'azienda - fermo il riconoscimento dell'anzianità maturata presso il cedente - del diritto alla corresponsione dei relativi scatti d'anzianità.

Nel caso di specie, il cedente era un ente pubblico, mentre il cessionario era una società per azioni, che applicavano differenti contratti collettivi: al proposito, la Suprema Corte, incidenter tantum, statuisce, anzitutto, che la disciplina dell'art. 2112 c.c. trova applicazione anche al passaggio di personale da ente pubblico a società di diritto privato, anche perché l'operatività della norma prescinde dalle modalità con le quali viene attuato il trasferimento, rendendo così ininfluente la circostanza che esso sia avvenuto per atto negoziale o a seguito di provvedimento autoritativo.

Passando all'esame della questione principale, i giudici di legittimità evidenziano come gli scatti di anzianità - mai inseriti come istituto retributivo nella contrattazione collettiva applicata dal cedente - debbano essere tenuti disgiunti dal "trascinamento dell'anzianità di servizio presso il nuovo datore di lavoro", in quanto l'art. 2112 c.c. non impone la "ricostruzione del trattamento scatti secondo la disciplina collettiva in essere presso il cessionario in riferimento all'anzianità maturata in precedenza presso l'ente cedente". Segnatamente - argomenta la Cassazione - sia gli scatti, sia il relativo metodo di calcolo e l'"effetto acquisitivo geometrico" tra anni e scatti periodici, non rappresentano diritti maturati presso il cedente, poiché presso quest'ultimo non esisteva alcun diritto a percepire gli scatti periodici d'anzianità. Col corollario che l'acquisizione di un ulteriore elemento retributivo - sulla scorta del principio di immediatezza della sostituzione tra contrattazioni diverse - permette da subito di computare gli scatti periodici, ma solo a partire dal periodo lavorativo regolato dalla contrattazione che prevede l'istituto, ossia quella del cessionario. A parere della Corte, siffatta interpretazione è, d'altronde, coerente con le tutele predisposte per il caso di trasferimento di azienda dal diritto comunitario (ed, in particolare, dalle direttive 77/187/CEE e 98/50/CE rilevanti ratione temporis), nonché con la giurisprudenza della Corte di Giustizia (C-343/98 Collino e C-108/10 Scattolon).




Licenziamento collettivo e comunicazione del recesso

Cass. Sez. Lav. 3 dicembre 2014, n. 25597

Pres. Macioce; Rel. Tricomi; P.M. Matera; Ric. G.C. + altri; Contr. B. S.r.l.;

Lavoro subordinato - Estinzione del rapporto - Licenziamento collettivo - Art. 4, comma 9, legge n. 223 del 1991 - Comunicazione del recesso da parte del datore di lavoro - Comunicazione al singolo lavoratore - Comunicazione ai competenti uffici dell'impiego - Contestualità alla prima - Sussistenza - Fattispecie

Il requisito della contestualità della comunicazione prevista dall'art. 4, comma 9, della l. n. 223/1991 alle associazioni di categoria e agli uffici del lavoro rispetto alla comunicazione del recesso ai dipendenti collocati in mobilità, comunicazioni richieste a pena di inefficacia del licenziamento, deve essere valutato in relazione alla finalità complessiva cui risponde tale requisito legale nell'ambito di una procedura le cui sequenze risultano cadenzate, anche dal punto di vista temporale, in modo rigido e predeterminato, nel senso di una necessaria contemporaneità, la cui mancanza vale ad escludere la sanzione dell'inefficacia solo se dovuta a giustificati motivi di natura oggettiva da comprovarsi dal datore di lavoro.

Nota - Il caso in esame trae spunto da una sentenza della Corte d'Appello di Lecce che, pronunciandosi sulla legittimità del licenziamento intimato ad alcune lavoratrici nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo, aveva ritenuto soddisfatto il requisito della contestualità della comunicazione alle associazioni di categoria e agli uffici del lavoro, prevista dall'art. 4, comma 9, della l. n. 223/1991, rispetto alla comunicazione del recesso ai dipendenti collocati in mobilità, entrambe richieste a pena di inefficacia del licenziamento. La Corte d'Appello aveva osservato, in particolare, che l'inoltro delle comunicazioni si era perfezionato in un medesimo contesto temporale (id est, senza "un apprezzabile intervallo di tempo") e che il ritardo nella ricezione della raccomandata da parte delle associazioni di categoria (determinatesi al ritiro dopo 7 giorni dal recapito del plico) non era imputabile alla parte tenuta all'assolvimento dell'obbligo in questione.

La Corte di Cassazione, pronunciandosi sul ricorso proposto dalle lavoratrici, ha ritenuto fondato il motivo relativo al requisito della contestualità in quanto non si riusciva a comprendere alla luce di quale parametro di interpretazione normativa fosse stato formulato dalla Corte d'Appello il giudizio di prossimità tra le due comunicazioni previste dalla legge e come, comunque, risultasse, nel caso, rispettato il requisito della necessaria contemporaneità delle stesse.

La sentenza della Corte d'Appello di Lecce veniva, pertanto, cassata e la causa rinviata alla Corte d'Appello di Bari affinché provvedesse a nuovo esame attenendosi al seguente principio di diritto: "Il requisito della contestualità della comunicazione prevista dall'art. 4, comma 9, della l. n. 223/1991 alle associazioni di categoria e agli uffici del lavoro rispetto alla comunicazione del recesso ai dipendenti collocati in mobilità, comunicazioni richieste a pena di inefficacia del licenziamento, deve essere valutato in relazione alla finalità complessiva cui risponde tale requisito legale nell'ambito di una procedura le cui sequenze risultano cadenzate, anche dal punto di vista temporale, in modo rigido e predeterminato, nel senso di una necessaria contemporaneità, la cui mancanza vale ad escludere la sanzione dell'inefficacia solo se dovuta a giustificati motivi di natura oggettiva da comprovarsi dal datore di lavoro".

La Corte d'Appello di Bari rigettava l'appello e le lavoratrici proponevano ricorso per Cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 9, della l. n. 223/1991.

Secondo la Suprema Corte il giudice di appello, in sede di rinvio, ha fatto corretta applicazione del suddetto principio di diritto relativo al requisito della contestualità, osservando inoltre che, in ragione della ratio di tale requisito - rappresentata dall'esigenza di rendere visibile, e quindi controllabile, dalle associazioni di categoria, oltre che agli uffici pubblici competenti, la corretta applicazione della procedura con riferimento ai criteri di scelta seguiti ai fini della collocazione in mobilità e che tale possibilità di controllo si pone quale indispensabile presupposto per la tutela giurisdizionale riconosciuta al singolo dipendente - detta contestualità deve essere intesa non come "esatta contemporaneità" o obbligo di immediatezza, ma quale "sostanziale contemporaneità" e che, quindi, deve escludersi che vi sia sostanziale contemporaneità nel caso in cui le comunicazioni non sono state eseguite nel medesimo ristretto ambito temporale, ovvero se tra le comunicazioni sia intercorso un apprezzabile intervallo di tempo.

Applicando i suddetti principi, la Cassazione, anche in ragione della giurisprudenza in materia di notificazioni a mezzo posta, tenuto conto nel caso di specie, da un lato, del circoscritto arco temporale degli accadimenti e, dall'altro, delle ragioni della ritardata ricezione della comunicazione da parte delle associazioni sindacali, ha, pertanto, rigettato il ricorso ritenendo sussistente il requisito della contestualità.




La subordinazione nel lavoro giornalistico

Cass. Sez. Lav. 27 novembre 2014, n. 25248

Pres. Macioce; Rel. Bandini; P.M. Matera; Ric. D.G.S.; Res. E. S.r.l.;

Lavoro giornalistico - Subordinazione - Assoggettamento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare datoriale - Inserimento nell'organizzazione aziendale - Necessità

Anche nel lavoro giornalistico la subordinazione consiste nel vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale, potere che deve estrinsecarsi in specifici ordini e non già in semplici direttive, compatibili anche con il lavoro autonomo, oltre che nell'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo sull'esecuzione dell'attività lavorativa.

Nota - La Corte d'Appello di Milano, confermando la decisione di primo grado, respingeva la domanda di un giornalista volta all'accertamento della natura subordinata del suo rapporto di lavoro con la casa editrice del settimanale nel quale erano stati pubblicati i suoi articoli.

La Corte territoriale, in particolare, rilevava l'insufficienza delle prove offerte in ordine all'assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore.

Avverso tale decisione il lavoratore proponeva ricorso per cassazione, mentre la casa editrice resisteva con controricorso.

La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, ribadendo, anzitutto, il costante orientamento secondo il quale la subordinazione consiste nel vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale. Inoltre, la pronuncia ha rimarcato che il potere datoriale deve estrinsecarsi in specifici ordini e non già in semplici direttive, compatibili anche con il lavoro autonomo, oltre che nell'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo sull'esecuzione dell'attività lavorativa (Cass. 22 agosto 2003, n. 12364 e Cass. 24 febbraio 2006, n. 4171). Con specifico riguardo all'attività giornalistica, la Suprema Corte, in altre occasioni, aveva peraltro avuto modo di precisare che, in tale ambito, il carattere della subordinazione risulta attenuato per la creatività e la particolare autonomia qualificanti la prestazione lavorativa, nonché per la natura prettamente intellettuale dell'attività stessa, con la conseguenza che, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato, rileva specificamente l'inserimento continuativo ed organico delle prestazioni nell'organizzazione d'impresa, desumibile da elementi quali il pieno coinvolgimento del lavoratore nell'attività redazionale, con utilizzazione degli strumenti di lavoro - computer e cellulare - forniti dalla casa editrice, e con la preposizione in via stabile a settori di informazione o rubriche fisse, nonché l'assoggettamento del medesimo al potere decisionale e di controllo del capo cronista (Cass. 7 ottobre 2013, n. 22785). La pronuncia in commento ha evidenziato che dall'istruttoria erano emerse, oltre al mancato espletamento di attività redazionale e alla facoltà del lavoratore di acquisire di propria iniziativa le notizie per scrivere i pezzi, prove generiche in ordine alla sua presunta subordinazione. Non era, infatti, stato precisato in cosa fossero consistite le direttive dei direttori responsabili e la messa a disposizione del lavoratore tra una prestazione e l'altra; inoltre, da nessun elemento di fatto era ricavabile che la società organizzasse il lavoro del giornalista ricorrente.

Sulla base di ciò, la Suprema Corte ha confermato la decisione circa l'insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, rilevando altresì che l'emanazione di direttive è del tutto compatibile con una prestazione lavorativa svolta in regime di autonomia.

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