Contenzioso

Indennità di maternità alle professioniste qualunque sia l’età dell’adottato

di Armando Montemarano

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 205 del 22 ottobre 2015, ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 72 del Dlgs 151/2001 - il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità - nella versione in vigore fino al 24 giugno scorso e nella parte in cui, per il caso di adozione nazionale, prevedeva che l'indennità di maternità spettasse alla madre libera professionista soltanto se il bambino non avesse superato i sei anni d'età.
L'articolo 70 del Dlgs 151/2001 riconosce, infatti, alle donne iscritte ad un ente di gestione di forme obbligatorie di previdenza in favore dei liberi professionisti, ricompreso nella tabella D allegata allo stesso decreto, il diritto all'indennità di maternità, spettante anche per l'ingresso in famiglia del bambino adottato o affidato ma, secondo quanto disposto dalla norma ora dichiarata incostituzionale, vi apponeva la limitazione costituita dall'età del minore. L'articolo 72 è stato riformato dall'articolo 20 del Dlgs 80/2015 e conseguentemente l'indennità spetta ora per gli stessi periodi e secondo quanto previsto per le lavoratrici subordinate; dunque senza tenere conto dell'età dell'adottato.
La norma originaria è stata sottoposta al vaglio del giudice delle leggi il quale, già con la sentenza n. 371 del 23 dicembre 2003, aveva dichiarato l'illegittimità dello stesso articolo 72 nella parte in cui non prevedeva che, nel caso di adozione internazionale, l'indennità di maternità spettasse anche se il minore adottato o affidato avesse superato il limite d'età.
La Consulta ha proceduto anzitutto all'inquadramento delle finalità del beneficio nel quale, alla funzione di tutela della donna, si affianca quella di tutela dell'interesse del minore, che l'opera del legislatore e dell'interprete è andata enucleando in maniera sempre più nitida, proprio con riferimento alle ipotesi di affidamento e adozione. L'estensione dell'indennità è stata graduale:
- alle madri lavoratrici dipendenti, ad opera dell'articolo 6 della legge 903/1977;
- alle madri lavoratrici autonome, ad opera dell'articolo 2 della legge 546/1987;
- alle madri libere professioniste, ad opera dell'articolo 3 della legge 379/1990.
L'interesse del minore non può tollerare, ad avviso della Corte, discriminazioni arbitrarie, legate al dato accidentale ed estrinseco della tipologia del rapporto di lavoro facente capo alla madre o delle particolarità del rapporto di filiazione che si instaura. Inquadrato in tali coordinate, il beneficio dell'indennità di maternità costituisce attuazione del dettato costituzionale, che esige per la madre e per il bambino «una speciale adeguata protezione» (articolo 37, primo comma, della Costituzione). La specialità e l'adeguatezza della protezione non sono disgiungibili l'una dall'altra. L'assenza di congiunzioni tra i due aggettivi («speciale» e «adeguata») dimostra che si tratta di profili inscindibili, che si compenetrano e si rafforzano a vicenda: l'adeguatezza della tutela non può che essere valutata al banco di prova della specificità della posizione di chi dovrà beneficiarne.
La Consulta ha argomentato che, nel negare l'indennità di maternità soltanto alle madri libere professioniste che adottino un minore di nazionalità italiana, quando il minore abbia già compiuto i sei anni, la disciplina legislativa censurata si pone in insanabile contrasto con il principio di uguaglianza e con il principio di tutela della maternità e dell'infanzia, declinato anche come tutela della donna lavoratrice e del bambino.
Sotto il profilo del rispetto del principio di uguaglianza, la normativa impugnata è stata giudicata foriera di una discriminazione arbitraria a danno delle libere professioniste che adottino un minore di nazionalità italiana. A seguito della sentenza n. 271/2003, la legge continuava, infatti, a subordinare il godimento dell'indennità ad un limite di età soltanto nelle adozioni nazionali; tale singolarità è stata ritenuta carente di una giustificazione razionale idonea a dar conto del permanere soltanto per questa fattispecie di un limite rimosso per le altre ipotesi. Tant'è che a tale incongruenza il legislatore ha poi posto rimedio con l'articolo 20 del Dlgs 80/2015.
Questa diversificazione, sprovvista di una precisa ragion d'essere, pregiudica pure l'interesse della madre e del minore, oltre alla funzione stessa dell'indennità di maternità, da riconoscersi senza distinzioni, ad avviso della Consulta, tra categorie di madri lavoratrici e tra figli.
È stato rettamente rilevato che la posizione della madre e del minore di nazionalità italiana non risulta meno meritevole di tutela per il solo fatto che il minore abbia superato i sei anni d'età, nel momento in cui il decreto di affidamento preadottivo interviene a formalizzarne l'ingresso nel nucleo familiare; l'inserimento del minore nella nuova famiglia non è, infatti, meno arduo e bisognoso di una speciale adeguata protezione se il minore è di nazionalità italiana e se ha superato quell'età.
Nel limitare la concessione di un beneficio, che tutela il preminente interesse dell'adottato, la norma censurata si traduceva, in ultima analisi, in una discriminazione pregiudizievole non solo per la madre libera professionista partecipe dell'adozione nazionale ma anche e soprattutto per il minore di nazionalità italiana coinvolto nella procedura.

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