Contenzioso

La trasformazione del contratto giustificata solo da effettive ragioni oggettive

di Giuseppe Bulgarini d'Elci

La sentenza 21875/15 della Corte di cassazione depositata ieri è particolarmente interessante perché mette in relazione il “divieto di licenziamento” posto dall'articolo 5 del Dlgs 61/2000 (oggi abrogato e riprodotto dall'articolo 8 del Dlgs 81/2015) a tutela del lavoratore che rifiuti di trasformare il proprio rapporto da tempo pieno in part time, o viceversa, con il diritto del datore di lavoro, nell'esercizio delle proprie prerogative imprenditoriali, di poter procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo in presenza di una comprovata crisi finanziaria e di una conseguente necessità di contenimento dei costi.

La Cassazione prende le mosse dalla Direttiva 97/81/CE di recepimento dell'Accordo quadro sul part-time - a norma della quale (clausola 5.2) “il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilità di procedere (…) a licenziamenti per altre ragioni” - per compiere un'attenta opera di bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti del rapporto di lavoro.

La Corte non lo dice espressamente, ma il senso è proprio quello per cui merita, da un lato, di essere tutelata l'esigenza del lavoratore di non subire un arbitraria modifica del proprio regime orario, ma anche quella del datore, d'altro lato, al regolare funzionamento dell'attività aziendale laddove quest'ultima non possa prescindere da una inevitabile rimodulazione dell'orario lavorativo.

La normativa italiana, se letta in questo più ampio contesto, non introduce, dunque, un divieto assoluto di recesso datoriale, ma richiede che il licenziamento, sia pur adottato sul presupposto della mancata accettazione della variazione oraria, sia sorretto da effettive esigenze economiche ed organizzative, tali per cui la prestazione non possa essere utilmente mantenuta a tempo pieno.

La Cassazione non ne fa cenno, ma merita aggiungere che analoghe considerazioni sono state formulate dalla Corte di Giustizia (sentenza del 15 ottobre 2014 in Causa C-221/13), ad avviso della quale il divieto di licenziamento in questione, già sancito dal diritto comunitario, è volto ad impedire che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time (o viceversa) possa assurgere ad unico ed esclusivo motivo del recesso datoriale, in quanto tale sganciato tout court da effettive ragioni oggettive.

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