Contenzioso

La sentenza di Aosta apripista contro le disparità di genere

di Giuseppe Bulgarini d'Elci


La sentenza del Tribunale di Aosta va letta con attenzione, perché costituisce un precedente che si pone in controtendenza rispetto alla regola generale, espressamente applicata ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle imprese, per cui non esiste un obbligo a carico del datore di lavoro di parità di trattamento retributivo tra lavoratori, anche se adibiti alle stesse mansioni e preposti ad analoghe responsabilità.
La più recente giurisprudenza, sia civile, sia amministrativa, ha ricordato che nell'ambito dei rapporti di lavoro di diritto privato non esiste un principio che imponga di garantire parità di retribuzione e di inquadramento a tutti i lavoratori dell'impresa che sono preposti alle medesime mansioni.
A tale conclusione, ad avviso della giurisprudenza, non si contrappone il principio fissato dall'articolo 36 della Costituzione, che prevede l'obbligo del datore di lavoro al riconoscimento di una retribuzione sufficiente e adeguata, ma prescinde da una comparazione soggettiva tra i lavoratori, e neppure si contrappone il dettato dell'articolo 3 della Costituzione, che impone l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ma non nei rapporti tra privati.
Parzialmente diverso è il regime applicato al lavoro pubblico, in quanto, ai sensi dell'articolo 45 del Dlgs 165/2001 (T.U. Pubblico Impiego), le amministrazioni pubbliche sono tenute ad assicurare ai lavoratori “parità di trattamento contrattuale”, risultando più difficile, in tale contesto, giustificare un trattamento retributivo differenziato a parità di mansioni e di responsabilità.
Nel lavoro privato il contesto è completamente diverso, perché una norma che garantisca ai dipendenti delle imprese trattamenti contrattuali e, dunque, retributivi uniformi, tesi ad evitare forme di disparità contrattuale tra soggetti adibiti a mansioni equivalenti, non c'è.
In questo ambito di riferimento la sentenza di Aosta – che si applica, giustappunto, al lavoro privato – finisce per giocare un ruolo decisivo, in quanto, facendo applicazione della disciplina sulle pari opportunità tra uomo e donna, introduce una specifica ipotesi in cui la parità di trattamento salariale è regola vincolante per il datore di lavoro.
Se, dunque, in linea generale continua a non esistere un obbligo di trattamento retributivo uniforme per i lavoratori preposti alle stesse attività, abbiamo anche una solida eccezione, che si manifesta nel caso in cui la disparità salariale ridonda in danno delle lavoratrici di sesso femminile, le quali risultino sul piano oggettivo titolari di un trattamento economico inferiore ai lavoratori di sesso maschile comparabili.
Non si tratta di un tema marginale, bensì di una questione che meriterebbe di essere al centro del dibattito, considerando che, dati statistici alla mano, le retribuzioni medie corrisposte alle lavoratrici donne sono più basse (anche sensibilmente) di quelle riconosciute ai lavoratori uomini.
I principi affermati nella sentenza del Tribunale di Aosta, nelle attuali condizioni del mercato del lavoro, potrebbero costituire un grimaldello molto forte per abbattere quella che, secondo più voci, costituisce ancora oggi una evidente disparità di trattamento sul piano economico fondata essenzialmente sull'appartenenza al genere femminile.

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