Contenzioso

Per gli sgravi contributivi della legge finanziaria 2002 lo studio dell’avvocato libero professionista non è una azienda

di Silvano Imbriaci

La sezione lavoro della Cassazione conferma l'applicabilità degli sgravi contributivi previsti dall'articolo 44, comma 1 della legge 448/2001 esclusivamente agli imprenditori e non ad altre categorie di datori di lavoro. Sotto questo profilo deve escludersi la qualifica di imprenditore commerciale per l'avvocato che svolga la propria attività professionale sia pure con organizzazione produttiva e apporto di personale dipendente.

Il professionista intellettuale, infatti, può assumere la qualità di imprenditore commerciale quando esercita la professione nell'ambito di una attività organizzata in forma d'impresa, ma solo in quanto svolga una distinta attività rispetto a quella professionale, per il diverso ruolo che svolge il sostrato organizzativo e per il differente apporto del professionista, consistente non solo in mere prestazioni d'opera, ma anche e soprattutto in una prevalente azione di organizzazione e di coordinamento dei fattori produttivi che si affianca all'attività tecnica.

Queste le conclusioni della sentenza della Cassazione 2520/2016, che riprende e amplifica l'interpretazione cui era già pervenuta non molto tempo fa (sentenza 16092/2013), fissando in maniera netta i tratti distintivi tra la figura del libero professionista e quella dell'imprenditore commerciale, quando entrambe assumano anche la veste di datore di lavoro.

L'occasione è offerta dalla necessità di valutare l'applicabilità al professionista avvocato dell'articolo 44, comma 1, della legge finanziaria per il 2002 (legge 448/2001), norma che prevede il riconoscimento a tutti i datori di lavoro privati e agli enti pubblici economici, operanti in determinate regioni del Mezzogiorno, per le nuove effettive assunzioni effettuate nel 2002, lo sgravio contributivo totale per un periodo di tre anni, con il rimando alle condizioni stabilite all'articolo 3, comma 6, della legge 448/1998.

Proprio il dato letterale dell'articolo 44, con l'espressa apertura a tutti i datori di lavoro privati, si presta indubbiamente a una lettura estensiva della platea dei suoi destinatari, nel senso di ricomprendervi tutti i soggetti che, indipendentemente dalla natura della loro attività, rivestano la qualità di datori di lavoro (si vedano anche le indicazioni dell'Inps, che però inizialmente non avevano fatto chiarezza sul punto specifico: circolare 24/2002, poi superata dalla decisa interpretazione fornita dalla successiva circolare 2/2003, che esplicitamente avrebbe limitato l'applicazione dello sgravio in questione esclusivamente ai datori di lavoro con la qualità di imprenditore in base agli articoli 2082 e seguenti del codice civile, con esclusione dei liberi professionisti e degli studi professionali). Su questa linea interpretativa si pone anche la Cassazione che tuttavia limita l'applicazione della norma agevolativa agli imprenditori sulla base di diverse motivazioni.

Innanzitutto il riferimento normativo espresso alle imprese e non ad altri tipi di datori di lavoro; poi il fatto che comunque l'ordinamento contiene specifiche disposizioni normative che regolano l'ordinario pagamento dei contributi con riferimento a tutti i datori di lavoro. Inoltre, anche dal punto di vista del diritto comunitario, appare maggiormente conforme alle esigenze di limitare gli aiuti di Stato (perché di aiuti di Stato si tratta) l'interpretazione restrittiva, del resto adottata esplicitamente con riferimento all'articolo 3 della legge 448/1998, nel provvedimento della Commissione europea SG (99) D/6511 del 10 agosto 1999 (vedi circolare Inps 188/1999).

Peraltro anche nella successiva lettera del 6 dicembre 2002 (C/2002 4845), riguardante nello specifico le agevolazioni previste dall'articolo 44, la Commissione ha individuato quali beneficiari del regime agevolativo tutte le imprese di qualsiasi settore, esclusi quelli della siderurgia e della costruzione navale, operanti nelle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia, che assumono determinate categorie di lavoratori a tempo indeterminato. In ogni caso, poi, l'attività libero professionale (di avvocato) non può essere considerata imprenditoriale nei termini individuati dall'articolo 2082 del codice civile, in quanto in essa è prevalente il lavoro professionale rispetto alla organizzazione dei mezzi.

Tuttavia, nelle ipotesi in cui l'esercizio della professione costituisca elemento di una attività esercitata in forma d'impresa, possibilità del resto prevista e contemplata anche dall'articolo 2238 del codice civile, occorre valutare il momento in cui l'elemento organizzativo cessa di essere meramente strumentale per assumere rilievo predominante nello svolgimento dell'attività libero professionale.

A quel punto la prestazione d'opera intellettuale cede il passo, nella quotidiana attività lavorativa, all'azione di organizzazione e di controllo dei fattori produttivi: il libero professionista diventa allora imprenditore a tutti gli effetti e l'apporto professionale, pur indispensabile, rimane sullo sfondo, come elemento secondario. Solo a queste condizioni è possibile dunque ammettere la fruizione di sgravi contributivi connessi all'attività libero professionale, ma solo in quanto, appunto, l'attività professionale sia nei fatti recessiva rispetto a quella più propriamente imprenditoriale (sentenze 28312/2011 e 13677/2004).

Occorre poi ricordare che nel caso dell'attività professionale di avvocato vi è un ostacolo normativo in più, rappresentato dalla legge professionale che espressamente prevede l'incompatibilità della professione di avvocato con l'esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale svolta in nome proprio o in nome o per conto altrui (articolo 3, comma 1, Rdl 1578/1933 – regola ripetuta anche nella legge di riforma dell'ordinamento professionale 31 dicembre 2012, numero 247, all'articolo 18). Tale divieto, oltre a confermare il chiaro intento del legislatore di tenere distinte la libera professione dall'attività d'impresa (Cassazione sentenza 560/2005), non avrebbe logicamente alcun senso se lo studio professionale fosse assimilabile a un'azienda commerciale svolgente attività d'impresa.

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