Contenzioso

Rassegna della cassazione

di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Indennità sostitutiva delle ferie

Diritti sindacali

I limiti alla rilevanza delle condotte extra-lavorative sul vincolo fiduciario

Licenziamento disciplinare

Licenziamento per giusta causa

Indennità sostitutiva delle ferie

Cass. Sez. Lav. 29 gennaio 2016, n. 1756

Pres. Amoroso; Rel. Berrino; P.M. Matera; Ric. R.A.I. S.p.A.; Controric. S.M.;

Lavoro subordinato - Periodo di riposo - Ferie annuali - Mancato godimento - Conseguenze - Diritto all'indennità sostitutiva - Sussistenza - Natura giuridica mista - Risarcimento del danno e compenso per la prestazione lavorativa prestata in periodo destinato al riposo - Conseguenze - Termini di prescrizione

L'indennità sostitutiva delle ferie ha, per un verso, carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito dalla perdita di un bene (il riposo con recupero delle energie psicofisiche, la possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali e simili) al cui soddisfacimento l'istituto delle ferie è destinato e, per altro verso, costituisce erogazione di indubbia natura retributiva, poiché rappresenta il corrispettivo dell'attività lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe invece dovuto essere non lavorato in quanto destinato al godimento delle ferie annuali, restando indifferente l'eventuale responsabilità del datore di lavoro per il mancato godimento delle stesse.
Ai fini della verifica della prescrizione, tuttavia, deve considerarsi prevalente la natura risarcitoria di tale indennità, in quanto volta a tutelare il bene della vita (ristoro delle energie psico-fisiche) cui l'istituto è principalmente finalizzato, con conseguente soggezione al regime ordinario di prescrizione decennale.

Nota

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso promosso dalla società e confermato la decisione della Corte d'Appello di Firenze, che, confermando a sua volta la pronuncia di primo grado, aveva riconosciuto il diritto del lavoratore, in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro, a percepire un determinato importo a titolo d'indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi non goduti nel corso negli anni di lavoro prestato a favore della società.

La società impugnava la decisione di primo grado sulla base di due motivi. Con il primo motivo deduceva che nella fattispecie avrebbe dovuto trovare applicazione la prescrizione quinquennale (e non quella decennale), stante la natura retributiva dell'indennità in questione, e che, conseguentemente, i Giudici di merito avrebbero dovuto dichiarare prescritto il credito del lavoratore.

La Corte di Cassazione ha ritenuto tale motivo infondato poiché l'indennità sostitutiva delle ferie non fruite ha natura mista, avendo non solo carattere risarcitorio, in quanto volta a compensare il danno derivante dalla perdita di un bene determinato (il riposo, con recupero delle energie psicofisiche, la possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali, etc.), ma anche retributivo, in quanto è connessa al sinallagma contrattuale e costituisce il corrispettivo dell'attività lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe dovuto essere non lavorato, in quanto destinato al godimento delle ferie annuali (cfr. da ultimo Cass. Sez. Lav. 20836/2013). Ciò premesso, ai fini della verifica della prescrizione, è necessario che il diritto che l'indennità in esame tende a soddisfare possa essere esercitato in maniera ampia, per cui non può che considerarsi prevalente, a tale scopo, la natura risarcitoria della stessa, per la quale è prevista la durata ordinaria decennale della prescrizione. Diversamente, infatti, si perverrebbe alla conclusione che la tutela del bene della vita cui l'indennità sostitutiva delle ferie è principalmente finalizzata, cioè quello del ristoro delle energie psico-fisiche, subirebbe in sede di esercizio dell'azione risarcitoria un'inevitabile limitazione, derivante dall'applicazione della prescrizione quinquennale degli emolumenti di carattere retributivo. Invece, quest'ultima funzione, anch'essa assolta dall'indennità in esame, assume importanza prevalente solo allorquando debba valutarsene l'incidenza sul trattamento di fine rapporto o su ogni altro aspetto di natura esclusivamente retributiva. Nel caso di specie, quindi, i Giudici di merito avevano correttamente ritenuto applicabile alla fattispecie il regime della prescrizione ordinaria decennale. Con il secondo motivo di ricorso la società deduceva che non era emersa nel giudizio di merito alcuna prova della responsabilità della datrice di lavoro per il mancato godimento delle ferie da parte del lavoratore.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha ricordato che, visto il carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, garantito anche dall'art. 36 Cost., ove le ferie non siano effettivamente fruite, spetta in ogni caso al lavoratore l'indennità sostitutiva, restando indifferente l'eventuale responsabilità del datore di lavoro per il mancato godimento delle stesse.

Ciò premesso, nel caso di specie i Giudici di merito avevano altresì accertato, con motivazione adeguata ed immune da vizi, che il lavoratore non aveva potuto godere delle ferie per ragioni aziendali; pertanto, anche tale motivo di ricorso non è stato ritenuto meritevole di accoglimento.




Diritti sindacali

Cass. Sez. Lav. 26 gennaio 2016, n. 1350

Pres. Roselli; Rel. Balestrieri; P.M. Matera; Ric. P.I. s.p.a..; Controric. R.L.;

Rifiuto di eseguire parte della prestazione lavorativa - Esercizio illegittimo del diritto di sciopero - Legittimità delle conseguenti sanzioni disciplinari - Audizione orale del lavoratore - Obbligo di convocare il lavoratore nel luogo e durante l'orario di lavoro - Insussistenza

Qualora un accordo collettivo contenga una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria, un collega assente, la relativa astensione collettiva da tale prestazione non attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero, ma costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali, sicché non sono illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dal datore ai dipendenti che hanno rifiutato la prestazione aggiuntiva loro richiesta e il comportamento datoriale non è antisindacale. In materia di sanzioni disciplinari, deve escludersi che il lavoratore abbia diritto ad essere ascoltato a discolpa nel luogo dove svolge le proprie mansioni, e nel corso dell'orario di lavoro, non costituendo violazione del diritto di difesa la convocazione del lavoratore al di fuori del posto e dell'orario di lavoro.

Nota

Una nota società ha instaurato un giudizio nei confronti di un dipendente chiedendo l'accertamento della legittimità delle sanzioni disciplinari irrogate per essersi il lavoratore rifiutato di eseguire durante l'orario di lavoro parte della prestazione lavorativa relativa alla copertura di alcune attività proprie di un collega assente, per l'esecuzione delle quali era, peraltro, stato sottoscritto apposto accordo sindacale.

Il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo illegittima la sanzione per violazione della procedura disciplinare per avere la società convocato il lavoratore per l'audizione orale in luogo diverso dal posto di lavoro. La Corte d'appello di Milano ha respinto il gravame proposto dalla società, ritenendo, al contrario, legittima la fissazione dell'audizione personale in luogo diverso da quello di lavoro e subito dopo la fine del turno, ma illegittima la sanzione, affermando che il rifiuto di svolgimento delle mansioni rientrava nell'ambito del legittimo esercizio del diritto di sciopero.

Avverso tale decisione la società ha proposto ricorso per Cassazione ed il lavoratore ha resistito con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale.

Nell'accogliere parzialmente il ricorso principale e respingere quello incidentale la Suprema Corte ha ribadito alcuni principi già affermati in altri specifici precedenti. In particolare, con riferimento all'esercizio del diritto di sciopero, ha affermato il principio riportato nella prima massima, già espresso in numerosi casi analoghi (Cass. 12 gennaio 2011, n. 548; Cass. 16 ottobre 2013, n. 23528; Cass. 6 novembre 2014, n. 23672). In tale contesto la Cassazione ha evidenziato che il rifiuto di una parte delle mansioni legittimamente richiedibili al lavoratore non costituisce legittimo esercizio del diritto di sciopero e può configurare una responsabilità contrattuale e disciplinare del dipendente, dovendo lo sciopero rimanere entro i confini dell'astensione dal lavoro per l'autotutela dei propri interessi, sicché non può ravvisarsi nel rifiuto di eseguire porzioni di attività legittimamente richieste dal datore di lavoro (Cass. 25 novembre 2003, n. 17995; Cass. 30 gennaio 1980 n. 711).

Nell'esaminare il ricorso incidentale la Suprema Corte afferma, poi, il principio di cui alla seconda massima, anche qui richiamandosi a specifici precedenti (Cass. 29 agosto 2014, n. 18462). Precisa la Corte che non esiste un diritto del lavoratore di essere sentito durante l'orario di lavoro, pertanto il suo rifiuto di essere ascoltato al fuori di tale orario, ove non risponda ad un'esigenza difensiva non altrimenti tutelabile (che va espressamente dedotta), risulta in contrasto con i principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto.




I limiti alla rilevanza delle condotte extra-lavorative sul vincolo fiduciario

Cass. Sez. Lav. 2 febbraio 2016, n. 1978

Pres. Roselli; Rel. Negri Della Torre; P.M. Velardi; Ric. A.S.; Controric. A. S.p.A.;

Dovere di diligenza del lavoratore - Art. 2104 c.c. - Violazione - Fattispecie -Omissione di una condotta non prevista contrattualmente, né utile ai fini dell'esecuzione della prestazione lavorativa - Insussistenza della violazione Dovere di fedeltà - Art. 2105 c.c. - Violazione - Fattispecie - Omissione di una condotta contrattualmente non dovuta e connessa a superiori livelli di controllo e di responsabilità - Insussistenza della violazione Licenziamento per giusta causa - Condotta extra-lavorativa del dipendente - Incidenza della condotta extra-lavorativa sull'elemento fiduciario - Necessità - Elementi di valutazione dell'incidenza - Rilevanza

Non integra violazione del dovere di diligenza, di cui all'art. 2104 c.c., l'omissione, da parte del lavoratore, di una condotta che non sia prevista tra quelle contrattualmente dovute né comunque risulti, ai fini dell'esecuzione più utile della prestazione di lavoro, ad esse complementare o accessoria.
Non integra violazione dell'obbligo di fedeltà, di cui all'art. 2105 c.c., anche inteso come generale dovere di leale cooperazione nei confronti del datore di lavoro a tutela degli interessi dell'impresa, l'omissione da parte del lavoratore di condotte che, oltre a non rientrare nell'ambito delle prestazioni contrattualmente dovute, siano connesse a superiori livelli di controllo e di responsabilità, in presenza di un assetto dell'impresa caratterizzato da accentuata complessità e articolazione organizzativa.
In tema di licenziamento per giusta causa, nella valutazione dell'idoneità della condotta extra-lavorativa del dipendente ad incidere sulla persistenza dell'elemento fiduciario, deve aversi riguardo anche alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate.

Nota

La vicenda oggetto della sentenza in commento riguarda il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore che aveva omesso di informare il proprio datore di lavoro, pur essendone a conoscenza, della reiterata presenza di una persona in evidente stato di bisogno e con gravi problemi psichici all'interno dei locali aziendali durante l'orario di lavoro, nonché del fatto che detta persona pernottasse all'interno dei mezzi aziendali. Al lavoratore licenziato era stato altresì contestato di essersi intrattenuto con la predetta persona affetta da problemi psichici, come altri dipendenti, in attività non inerenti alla prestazione lavorativa e di avere ripetutamente approfittato dei favori sessuali della stessa, all'inizio e alla fine dei turni di lavoro, all'interno della propria autovettura parcheggiata nei pressi dei locali aziendali. Sia il Giudice di primo che quello di secondo grado rigettavano il ricorso presentato dal lavoratore per l'annullamento del licenziamento intimatogli. In particolare, la Corte territoriale, sulla scorta delle dichiarazioni rese in sede di indagini interne da un collega del lavoratore licenziato, confermava la legittimità del licenziamento in tronco, rilevando la gravità dei fatti addebitati sotto il profilo della violazione dell'obbligo di diligenza e di leale cooperazione con il datore di lavoro, ex artt. 2104 e 2105 c.c. Infatti, in forza di tale obbligo, il lavoratore avrebbe dovuto astenersi dal porre in essere, durante l'orario di lavoro, avances, battute e toccamenti reciproci con una persona in evidente stato di bisogno e con gravi problemi psichici e informare il datore di lavoro della presenza della stessa nei locali aziendali. Parimenti, il Giudice del merito riteneva proporzionato il licenziamento in ragione di ciò che riguardava la condotta estranea alla sfera contrattuale delle prestazioni di lavoro tenuta dal lavoratore, consistita nell'avere intrattenuto rapporti sessuali con la predetta persona, avuto riguardo alle modalità e alle circostanze in cui tale condotta era stata realizzata; ad avviso della Corte territoriale, i rapporti sessuali intrattenuti dal lavoratore licenziato con una persona ben conosciuta nella zona per i suoi problemi psichici - per le modalità con cui erano stati consumati e per le condizioni personali di disagio in cui versava tale persona - non apparivano aderenti ai doveri di solidarietà sociale ed ai precetti dell'etica comune. Pertanto, anche tali rapporti sono stati ritenuti concorrenti a legittimare un giudizio negativo sull'idoneità professionale del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro, atteso che tale idoneità non può essere disgiunta dalla sussistenza dei requisiti di serietà, onestà e correttezza.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ribalta la decisione della Corte territoriale, affermando che l'obbligo di informare il datore di lavoro, da cui sarebbe stato gravato il lavoratore, evocato a sostegno della decisione di merito, è estraneo alle mansioni di operaio generico (pacificamente) assegnate all'epoca dei fatti al lavoratore medesimo. Né l'esistenza di un tale obbligo può farsi discendere dalle norme richiamate dalla Corte d'Appello, di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.

Da una parte, il dovere di diligenza del prestatore di lavoro, di cui all'art. 2104 c.c., trova il proprio centro e il proprio essenziale limite nella prestazione contrattualmente dovuta, in cui possono essere considerati ricompresi i soli comportamenti accessori e strumentali al suo più esatto e proficuo inserimento della prestazione nel ciclo produttivo e nell'organizzazione dell'impresa.

D'altra parte, secondo la Suprema Corte, l'esistenza di un obbligo di informazione a carico del lavoratore non potrebbe farsi discendere nella specie neppure dalla norma di cui all'art. 2105 c.c.; infatti, anche volendo considerare che l'integrazione dell'art. 2105 c.c. con le clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. conduce a non discriminare tra obblighi positivi e obblighi negativi di condotta, resta fermo che ipotizzate violazioni dell'obbligo, o dovere, di fedeltà, ove interne (come nella specie) all'ambito lavorativo, devono necessariamente correlarsi alla struttura dell'impresa e, in particolare, alla sua complessità organizzativa, così da escludere - in presenza di articolati livelli di controllo e di responsabilità - qualsiasi valenza negativa nell'omissione, da parte del dipendente, dei pretesi comportamenti attivi.

Ciò posto, con la sentenza in esame la Corte di Cassazione censura la decisione di merito anche nella parte in cui richiamava le modalità di consumazione dei rapporti sessuali tra il lavoratore licenziato e la persona terza affetta da problemi psichici e ne stabiliva la concorrente efficacia a determinare un giudizio negativo sull'idoneità professionale del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro.

Infatti, secondo la Suprema Corte, a fronte di una condotta indiscutibilmente riconducibile alla sfera dei rapporti privati, la valutazione della sussistenza della giusta causa, intesa come grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento della fiducia, deve essere operata anche con riferimento agli aspetti concreti del singolo rapporto di lavoro; di conseguenza, nell'ambito di tale valutazione non si può tralasciare di considerare la posizione del dipendente all'interno dell'impresa e il grado di affidamento allo stesso specificamente richiesto dalle mansioni affidate (cfr., in tal senso, Cass. 23 febbraio 2012, n. 2720), non essendo a tal fine sufficiente una generica correlazione tra il fatto e la qualità di prestatore di lavoro o (come nella specie) tra un fatto extralavorativo e l'idoneità professionale del prestatore alla prosecuzione del rapporto.




Licenziamento disciplinare

Cass. Sez. Lav. 26 gennaio 2016, n. 1351

Pres. Roselli; Rel. Balestrieri; P.M. Matera; Ric. P.S.; Controric. A.O.U. "O.R.U. I, G.M. L., G. S." di A.;

Licenziamento disciplinare - Art. 2119 c.c. - Proporzionalità - Intenzionalità della condotta - Necessità – Sussiste

Premesso che l'elemento soggettivo è necessaria parte di ogni atto umano, se all'integrazione dei fatti giuridicamente legittimanti il licenziamento è necessario il dolo, l'onere datoriale di provare la sussistenza dei fatti si estende alla prova del dolo.

Nota

Con ricorso al tribunale di Ancona la lavoratrice, con qualifica di ausiliario specializzato, impugnava il licenziamento irrogatole dall'azienda ospedaliera in data 1.06.2011, ai sensi dell'art. 55 quater, comma 1, lett. A) e comma 3, d.lgs. n. 165 del 30.03.2001, per aver volontariamente falsificato il certificato medico da consegnare al datore di lavoro correggendo manualmente la prognosi di malattia da due a tre giorni, al fine di usufruire di un maggior numero di giorni di assenza dal servizio. La lavoratrice deduceva a propria discolpa di non aver mai corretto in passato un certificato medico e di aver agito impulsivamente, senza riflettere sulle conseguenze del gesto e sulla gravità del fatto, in quanto si trovava in un momento di particolare difficoltà personale anche considerato lo stato ansioso depressivo da cui era affetta. Il tribunale di Ancona respingeva la domanda. Avverso la sentenza del tribunale di Ancona proponeva appello la lavoratrice riproponendo le medesime censure già fatte valere nel corso del giudizio di primo grado. La Corte di appello di Ancona rigettava il gravame. Per la cassazione di tale sentenza proponeva ricorso la lavoratrice affidato a tre motivi. In particolare, la ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c., nonché l'omesso esame di un fatto decisivo della causa, lamentando che la sentenza impugnata aveva omesso di esaminare la natura dolosa o meno del comportamento contestato, il cui onere probatorio ricadeva esclusivamente sul datore di lavoro, non avendo tenuto conto della incapacità di intendere e di volere in cui versava la lavoratrice al momento della commissione del fatto, anche alla luce della documentazione sanitaria inerente il suo stato depressivo. La Corte di cassazione rigettava il ricorso. La Suprema Corte osservava che la Corte territoriale aveva adeguatamente motivato, con motivazione congrua ed immune da vizi, in ordine alla proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto al grave comportamento fraudolento posto in essere dalla lavoratrice, ritenendo ravvisabile il dolo nella volontaria falsificazione ad opera della stessa del certificato medico da consegnare al datore di lavoro. La Suprema Corte osservava altresì che la Corte territoriale aveva logicamente valutato la gravità del fatto e la sua idoneità a minare la fiducia del datore di lavoro in ordine ai futuri adempimenti della dipendente, escludendo inoltre, con adeguata motivazione, che la presenza di uno stato ansioso depressivo, di cui la ricorrente soffriva da molti anni, potesse escludere la capacità di intendere e di volere al momento della commissione dell'illecito, specie in assenza di qualsivoglia prova circa la commissione del falso in un momento di particolare intensità della malattia. Per tali ragioni la Corte rigettava il ricorso confermando la sentenza gravata.




Licenziamento per giusta causa

Cass. Sez. Lav. 28 gennaio 2016, n. 1595

Pres. Venuti; Rel. Ghinoy; P.M. Mastroberardino; Ric. P.G.; Controric. FLLI ANCIONE S.r.l.;

Licenziamento individuale - Giusta causa - Insubordinazione del lavoratore - Legittimità - Limiti

Per giustificare un licenziamento disciplinare i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l'elemento fiduciario; la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo.

Orario di lavoro - Lavoro straordinario - Lavoro discontinuo - Mansione di autista - Riposo intermedio o inattività temporanea del lavoratore - Criterio distintivo ai fini del computo nell'orario di lavoro

Il criterio distintivo tra riposo intermedio, non computabile ai fini della determinazione della durata del lavoro, e semplice temporanea inattività, computabile, invece, a tali fini, e che trova applicazione anche nel lavoro discontinuo, consiste nella diversa condizione in cui si trova il lavoratore, il quale, nel primo caso, può disporre liberamente di se stesso per un certo periodo di tempo anche se è costretto a rimanere nella sede del lavoro o a subire una qualche limitazione, mentre, nel secondo, pur restando inoperoso, è obbligato a tenere costantemente disponibile la propria forza di lavoro per ogni richiesta o necessità.

Nota

Un dipendente di una società addetta alla realizzazione di lavori stradali, assunto nel 2004 con mansioni di autista, III livello CCNL del settore edilizia, impugnava il licenziamento intimatogli nel 2006 per giusta causa, motivato da atti di insubordinazione - nel caso specifico, frasi offensive e minacciose - nei confronti dell'amministratore della società, e adiva il Tribunale di Ragusa al fine di far accertare l'invalidità del provvedimento espulsivo nonché la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno materiale e morale, oltre al pagamento di differenze retributive per lavoro straordinario.

Il Tribunale dichiarava illegittimo il licenziamento poiché irrogato in violazione del principio di proporzionalità della sanzione disciplinare e condannava la società al risarcimento del danno; per il resto rigettava le altre domande.

In riforma della sentenza di primo grado, la Corte d'Appello di Catania respingeva tutte le domande proposte dal lavoratore ritenendo che la condotta posta in essere dal ricorrente integrasse gli estremi dell'insubordinazione e dell'offesa al datore di lavoro e come tale fosse idonea a minare l'elemento fiduciario.

Rilevava, inoltre, come la condotta contestata fosse espressamente contemplata dal contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro che per i casi di insubordinazione e offese verso i superiori prevede la sanzione disciplinare del licenziamento in tronco. Quanto al compenso per lavoro straordinario, la Corte sosteneva che il lavoratore non avesse fornito la prova di aver svolto lavoro straordinario in misura superiore a quello già retribuitogli.

Avverso tale sentenza il dipendente ricorreva in Cassazione; il datore di lavoro resisteva con controricorso.

Tra i motivi di ricorso, il ricorrente lamentava la violazione del principio di proporzionalità della sanzione disciplinare e l'attenuazione dell'elemento fiduciario tenuto conto della natura del rapporto e della mansione affidata. Quanto al compenso per lavoro straordinario, deduceva il vizio di motivazione e l'erroneità della sentenza della Corte relativamente all'onere della prova a carico del lavoratore in caso di attività lavorativa discontinua.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la pronuncia resa dalla Corte territoriale. Con riferimento al licenziamento, ha rilevato, infatti, come tale provvedimento non fosse censurabile sotto l'aspetto della violazione di legge né del vizio di motivazione, avendo la Corte territoriale fatto corretta applicazione dei principi della lesione dell'elemento fiduciario e della proporzionalità della sanzione disciplinare attraverso una valutazione della condotta minacciosa e ingiuriosa del lavoratore. Anche in relazione al compenso per il lavoro straordinario, la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha rilevato come, correttamente, il giudice di merito avesse disatteso la domanda per il maggior compenso, tenuto conto dell'assenza di ogni prova sull'effettivo svolgimento della prestazione in misura eccedente al lavoro straordinario già retribuitogli. A tal riguardo, è stato ribadito il principio di diritto secondo cui il lavoratore che agisca per ottenere il compenso per il lavoro straordinario ha l'onere di dimostrare di aver lavorato oltre l'orario normale di lavoro e, ove egli riconosca di aver ricevuto una retribuzione ma ne deduca l'insufficienza, è altresì tenuto a provare il numero di ore effettivamente svolto, senza che eventuali - ma non decisive - ammissioni del datore di lavoro siano idonee a determinare una inversione dell'onere della prova.

Anche a voler ritenere che, nel caso di specie, si fosse in presenza di lavoro discontinuo, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il lavoratore non avesse comunque fornito la prova della temporanea inattività, che si verifica nel caso in cui, pur restando inoperoso, il lavoratore è obbligato a tenersi costantemente disponibile per ogni richiesta o necessità, e che pertanto è computabile ai fini della determinazione della durata del lavoro.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©