Contenzioso

Esdebitazione del fallito anche per i crediti contributivi

di Silvano Imbriaci

Un importante chiarimento è stato dato dalla Corte di cassazione con la sentenza 4844/2016 sulla portata e i limiti della esdebitazione (articolo 142 della legge fallimentare), procedura che consiste nella liberazione del fallito persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti in presenza di determinate condizioni.

Si era infatti posto il problema, in presenza dei requisiti di ammissione al beneficio, della sorte dei crediti contributivi non soddisfatti e sulla possibilità che anche su questi potesse applicarsi la liberazione, sotto il duplice profilo della natura di questi crediti (pubblicistica ed indisponibile) e della loro pertinenza all'esercizio dell'impresa.

Quanto al primo punto, la natura indisponibile dell'obbligazione previdenziale (principio di ordine pubblico posto a tutela delle posizioni contributive dei lavoratori) di fatto, secondo la prospettazione dell'Inps, rende impossibile l'accesso a forme di transazione o pagamento parziale, che sono poi quelle ammesse nelle ipotesi di esdebitazione.

Ai sensi dell'articolo 142 della legge fallimentare, infatti, l'esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali (II comma). Il che sta a dire che il pagamento integrale dei creditori non è condizione necessaria per l'accesso. Del resto anche la Cassazione ha affermato che il riferimento alla soddisfazione, almeno parziale, dei creditori concorsuali attribuisce al giudice un ampio ambito di valutazione discrezionale quanto alla portata effettivamente satisfattiva delle ripartizioni, potendo la parzialità essere riferita non solo al numero dei creditori soddisfatti, sul totale di quelli ammessi, ma anche alla percentuale di pagamento dei singoli crediti (Cassazione 7386/2015 e sezioni unite 24214/2011).

La sentenza 4844/2016 ritiene per questi motivi l'interpretazione dell'Istituto non accoglibile, in quanto l'articolo 120 della legge fallimentare, nella parte in cui afferma che con la chiusura del fallimento i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti, fa comunque salvi gli effetti dell'articolo 142, ossia della procedura di esdebitazione, che, tra le ipotesi espresse di esclusione, non menziona i debiti contributivi o previdenziali (III comma).

Sulla corretta interpretazione delle ipotesi di esclusione previste dall'articolo 142 della legge fallimentare la Cassazione si basa anche per verificare la fondatezza della tesi dell'Inps, in merito alla necessità di escludere dalla procedura di esdebitazione i debiti contributivi, in quanto «obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio dell'impresa» (secondo quanto disposto dall'art. 142, III co, lett. a). Il debito contributivo infatti, secondo la prospettazione dell'ente previdenziale, non sorge per volontà o scelta imprenditoriale, ma costituisce una automatica e diretta conseguenza dello svolgimento di attività lavorativa (in forma autonoma o subordinata), che dunque costituisce semplicemente l'occasione per la sua emersione.

La Cassazione è però di contrario avviso. La formula di esclusione introdotta dall'articolo 10, comma 1, del Dlgs 169/2007, con decorrenza 1 gennaio 2008 (la precedente formulazione della lettera a) prevedeva l'esclusione per le obbligazioni derivanti da rapporti non compresi nel fallimento ai sensi dell'articolo 46, va nel senso di individuare e limitare l'area oggettiva di esclusione ai debiti veramente personali del fallito, ossia non riconducibili direttamente o indirettamente all'attività imprenditoriale. Non si valuta dunque il profilo della “volontarietà” quanto il collegamento del debito con l'attività imprenditoriale. E sotto questo profilo, non può negarsi che l'obbligazione contributiva abbia uno stretto collegamento con l'esercizio dell'impresa, costituendone diretta conseguenza.

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