Contenzioso

Non spetta l’indennità di maternità al padre libero professionista

di Silvano Imbriaci

Il caso preso in esame dalla Cassazione nella sentenza 8594/2016 riguarda la domanda rivolta da un libero professionista (avvocato) alla propria cassa di previdenza, per ottenere il pagamento dell'indennità di maternità (prevista dall’articolo 70 del Dlgs 151/2001), in luogo della moglie in un caso di maternità e paternità biologica.

Il diritto a tale prestazione deriverebbe, secondo l'interpretazione del professionista, direttamente dal contenuto della sentenza della Corte costituzionale 385/2005, resa in materia di adozione ed affidamento, con cui era stata dichiarata l'illegittimità costituzionale degli articoli 70 e 72 del decreto legislativo 151/2001, nella parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l'indennità di maternità, attribuita solo a quest'ultima. Tale sentenza, secondo l'interessato, sarebbe autoapplicativa, e comunque sarebbe idonea ad orientare, in senso conforme a Costituzione, l'interpretazione dei giudici di merito anche nei casi di genitorialità biologica.

La Cassazione è di avviso contrario. Occorre premettere che la stessa Corte costituzionale ha affrontato in tempi più recenti la situazione con la sentenza 285/2010, che ha dichiarato l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale della stessa norma con riferimento all'applicazione dell'indennità di maternità al padre biologico. Nella valutazione della vicenda, la Corte costituzionale ha considerato non solo l'esigenza di tutela delle pari opportunità e condizioni ai coniugi, ma anche e soprattutto il superiore interesse del bambino. La situazione che consente la devoluzione dell'indennità a favore del padre lavoratore (riconosciute nel caso di padre adottivo libero professionista e/o dipendente) è del tutto peculiare.

Se da una parte l'ordinamento è compessivamente volto (anche grazie agli interventi della Corte costituzionale) a valorizzare l'eguaglianza tra coniugi e tra le varie categorie di lavoratori, nonché tra genitorialità biologica e adottiva (si veda il riconoscimento del congedo parentale, o la disciplina dei riposi giornalieri), è anche vero che ciò è consentito fino a che non sia messa minimamente in discussione la piena tutela dell'interesse del minore. E ciò accade solo fino a che sia indifferente (per dirla in termini giuridici: fungibile) l'attività svolta dall'uno o dall'altro genitore.

Altra cosa è invece la protezione della donna connessa alla gestazione e al parto, situazioni nelle quali le due figure non sono –ovviamente- fungibili. Tanto è vero che il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua, in caso di morte o grave infermità della madre o di abbandono o di affidamento esclusivo del bambino al padre. Si tratta di casi eccezionali che derivano da una diversa posizione del padre e della madre biologici di fronte alla filiazione biologica (nella quale oltre agli interessi del bambino è necessario tutelare anche la salute della madre).

Sulla base di queste considerazioni che la Corte costituzionale ha fatto proprie nella decisione del 2010, è chiaro che la decisione del 2005, invocata dal padre professionista, non può trovare diretta applicazione, se non altro perché non riguarda la paternità biologica. La parità di trattamento tra coniugi può essere invocata in tutte le ipotesi in cui sia giustificata l'estensione al padre della provvidenza economica in ragione di eventi o circostanze eccezionali (infermità, abbandono, adozione, affidamento), ma non nel caso di maternità biologica, dove accanto a questa esigenza deve allo stesso modo essere tutelata anche la salute psico-fisica della madre lavoratrice.

Una conferma a questo orientamento la si trova anche nel diritto europeo, dove la direttiva sui congedi parentali apre la strada alla completa equiparazione tra i sessi in una situazione in cui è preminente l'interesse del nucleo familiare e non quello della salute della madre, salvo accordare a quest'ultima una tutela più intensa (ed esclusiva) nei casi in cui sia in gioco anche la sua salute (gravidanza, nascita).

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