Contenzioso

Con il «vecchio» articolo 18 sanzioni civili solo per reintegra nei casi più gravi

di Silvano Imbriaci

La Cassazione, sporadicamente, ritorna sulla questione degli effetti della reintegra (in caso di illegittimità del licenziamento) sulle modalità di computo delle sanzioni civili legate all'inadempimento contributivo. Si tratta delle ipotesi in cui ancora si applica il “vecchio” articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ancora prima delle modifiche introdotte della legge 92/2012 e della riscrittura dell'intera disciplina dei licenziamenti da parte del Dlgs 23/2015 (queste ultime applicabili alle assunzioni successive all'entrata in vigore).

La sentenza 10679/2016 del 23 maggio merita comunque una segnalazione in quanto mostra la differenza di onerosità delle conseguenze del licenziamento illegittimo sul datore di lavoro nel passaggio dalla vecchia alle nuove discipline. La controversia riguarda l'entità delle sanzioni civili e le modalità di computo della decorrenza e riflette due diverse posizioni giurisprudenziali che sono state portate a unità solo con l'intervento delle Sezioni unite (19665/2014).

In caso di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento e di successiva reintegra, la tesi più rigorosa, che ha finito per prevalere, riteneva dovute le sanzioni civili in assenza di pagamento di contribuzione alle scadenze di legge nel periodo precedente l'ordine di reintegrazione (si veda Cassazione 23181/2013; 402/2012 e circolare Inps 124/2000); la tesi opposta, secondo un ragionamento assai persuasivo, non imputava al datore di lavoro il mancato versamento di contribuzione a fronte della cessazione del rapporto, trattandosi di adempimento impossibile e logicamente incompatibile con lo status di lavoratore licenziato (peraltro l'ente previdenziale non avrebbe neanche potuto accettare tale contribuzione; si veda Cassazione 7934/2009).

Le Sezioni unite avevano adottato nel 2014 una soluzione intermedia, ispirata alle modifiche normative nel frattempo intervenute. Il “nuovo” articolo 18 della legge 300/1970, come riscritto dalla legge 92/2012, opera infatti una distinzione. Mentre il II comma (reintegrazione cosiddetta piena o forte) prevede la condanna del datore di lavoro al pagamento della contribuzione previdenziale senza apparentemente occuparsi delle conseguenze sanzionatorie civili, per le ipotesi previste nel IV comma (reintegrazione cosiddetta attenuata o debole) la norma precisa che il medesimo obbligo contributivo deve essere maggiorato degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione.

Precisazione che ci porta a immaginare, di riflesso, come dovute nella loro interezza le sanzioni civili nelle ipotesi più gravi di licenziamento per le quali è previsto il ripristino del rapporto di lavoro con risarcimento integrale. La diversificazione, quanto agli effetti, del licenziamento a seconda della gravità esplicitata dal nuovo articolo 18, e accolta dalle Sezioni unite, in realtà ripropone la “storica” distinzione tra licenziamento inefficace o nullo (per discriminazione, in concomitanza di matrimonio, per violazione dei divieti posti a tutela della genitorialità, per motivo illecito determinante o perché intimato in forma orale) e licenziamento solo annullabile (assenza di giustificato motivo soggettivo o di giusta causa, insussistenza del fatto contestato ovvero illegittimità perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili).

Solo nel primo caso gli effetti dichiarativi della pronuncia consentono l'ingresso della fictio che considera il rapporto di lavoro, così come il collegato rapporto contributivo, mai interrotti. Se il vizio del licenziamento è ricompreso nell'area della nullità, l'obbligo contributivo è riconosciuto ora per allora e dunque ben può prospettarsi un obbligo di pagamento di sanzioni civili per inadempimento contributivo. Nel caso invece di un vizio che rende il licenziamento annullabile, la sentenza che contiene l'ordine di reintegrazione ha natura costitutiva e l'obbligo contributivo è ripristinato ex tunc senza applicazione delle sanzioni civili.

Rispetto, dunque, alla originaria soluzione proposta dalla Cassazione del 2009, non è possibile pensare che il legislatore in un dichiarato processo di ridimensionamento della tutela reintegratoria, abbia poi inteso inasprire la posizione del datore di lavoro quanto al pagamento di sanzioni civili nelle forme più gravi di licenziamento (discriminatorio, nullo, ecc…). In tali casi, dunque, la tesi che considera l'applicazione delle sanzioni civili quale effetto automatico dell'inadempimento, può dirsi giustificata e fondata su solidi appigli normativi. Quando invece il licenziamento sia comunque dichiarato legittimo, ma per ragioni che, pur ammettendo l'ordine di reintegra, abbiano un disvalore minore rispetto alle ipotesi più gravi, conformemente a quanto previsto dall'articolo 18, non potranno essere corrisposte sanzioni civili ma solo interessi. L'obbligo sanzionatorio pieno potrà rivivere solo per la fase successiva alla reintegra, nella quale sarà di nuovo operativo l'obbligo, a carico del datore di lavoro, di denunciare e versare sia la contribuzione corrente che quella determinata per il periodo intercorrente tra il licenziamento e la reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato.

Nel caso specifico vi era stata una pronuncia di annullamento del licenziamento, con efficacia costitutiva e conseguente applicazione della mora debendi nelle obbligazioni pecuniarie ed esclusione della configurabilità di un ritardo nel versamento dei contributi previdenziali con decorrenza successiva alla sentenza di reintegrazione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©