Contenzioso

Impianti audiovisivi, installazione senza accordo se non si controlla l’attività lavorativa

di Mauro Pizzin


Non è soggetta alla disciplina dell'articolo 4, comma 2, dello Statuto dei lavoratori (legge 300/70) l'installazione di impianti e apparecchiature di controllo poste a tutela del patrimonio, dalle quali non derivi alcuna possibilità di controllo a distanza dell'attività lavorativa, né risulti in alcun modo compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori.
Il principio è stato ribadito dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 22662 dell'8 novembre 2016, con cui è stata chiamata a pronunciarsi in merito al licenziamento per giusta causa intimato a una dipendente di un poliambulatorio, filmata da una telecamera di controllo nell'atto di sottrarre dalla cassaforte aziendale tra il 24 e il 25 gennaio del 2012 una busta contenente denaro sfilandola dalla fessura con l'aiuto di un tagliacarte. Licenziamento convalidato dal giudice di primo grado, ma poi dichiarato illegittimo dalla Corte d'appello di Torino, secondo cui l'installazione dell'impianto audiovisivo preposto al controllo della cassaforte, per quanto astrattamente legittima alla luce della necessità di tutelare i beni aziendali, avrebbe però richiesto preventivamente - proprio alla luce dell'articolo 4, comma 2, dello legge 300/70- il raggiungimento di un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, o con la commissione interna, oppure, in mancanza , l'autorizzazione dell'ispettorato del lavoro. Una mancanza che nel caso di specie avrebbe reso di fatto inutilizzabile il filmato, facendo venire meno la prova dell'addebitabilità del fatto contestato alla dipendente.
La Cassazione, nel valutare il ricorso dell'azienda, ha ricordato invece come l'articolo 4, comma 2, dello Statuto, nel testo vigente all'epoca dei fatti, subordini l'accordo con le rappresentanze sindacali solo nel caso in cui dai cosiddetti controlli difensivi “derivi anche la possibilità di controlli a distanza dei lavoratori” (cosiddetti controlli preterintenzionali) diretti ad accertare l'adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, ma non per le semplici verifiche volte ad accertare comportamenti del prestatore illeciti e lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale. Su questa basi, nel caso esaminato per i giudici di legittimità la condotta della lavoratrice oggetto della ripresa video non solo non atteneva alla prestazione lavorativa, ma non differiva in alcun modo da quella illecita posta in essere da un qualsiasi soggetto estraneo all'organizzazione del lavoro.

La sentenza n. 22662/16 della Corte di cassazione

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