Contenzioso

Licenziamento a prova vincolata

di Massimiliano Biolchini e Serena Fantinelli

La sezione Lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza 3468/2017 depositata ieri, è intervenuta in merito a un caso di licenziamento intimato al proprio direttore finanziario da una società, coinvolta in una vicenda di bancarotta e aggiotaggio, per avere questi dichiarato, nel corso di una intervista rilasciata a un quotidiano, che «sì, negli anni sono state realizzate varie operazioni dirette a fornire una rappresentazione dei bilanci della società diversa dal reale».

Sebbene il direttore finanziario avesse sempre affermato di non aver rilasciato al giornalista alcuna intervista, e che quelle pubblicate erano dichiarazioni frutto di un’autonoma iniziativa del giornalista, nei precedenti gradi di giudizio il licenziamento era stato ritenuto legittimo: a detta dei giudici di merito, infatti, la decisione era legittima e proporzionata perché «non vi sarebbe stata da parte del lavoratore una chiara e pubblica smentita sulla paternità di quelle dichiarazioni»; perché «sarebbe mancata qualsiasi sua iniziativa volta a contestare la attribuibilità al medesimo di quelle espressioni riportate tra virgolette»; perché «non risultava presentata alcuna querela, né era stata chiesta alcuna rettifica alla redazione del giornale».

Il direttore finanziario ha presentato ricorso in Cassazione e la Corte, ribaltando l’esito conforme dei due precedenti gradi di giudizio, ha invece rilevato l’illegittimità del licenziamento, per non avere la società fornito adeguata prova del fatto che il dirigente avesse effettivamente rilasciato l’intervista contenente le affermazioni contestate.

Secondo la Corte di cassazione, considerato che il dipendente aveva negato tale circostanza sin dal primo grado di giudizio, e aveva affermato che la dichiarazione era invece contenuta in un verbale di interrogatorio reso al Pm nel corso del quale erano stati forniti chiarimenti all’organo inquirente, la Corte di appello avrebbe giudicato dando per scontata «una circostanza che tale non era (intervista rilasciata dal ricorrente al giornalista), sul mero rilievo che era stata prodotta in atti una copia del quotidiano sul quale era riportata tale intervista, senza tener conto delle difese spiegate sul punto dal ricorrente e senza spiegare in virtù di quali elementi quella produzione fosse idonea a provare l’esistenza dell’intervista».

Così facendo, «la Corte di merito, lungi dall’attingere il proprio convincimento dalle risultanze probatorie processualmente acquisite, ha attribuito valore decisivo a una circostanza non presa in esame, che il ricorrente aveva reiteratamente contestato», e ha «omesso di considerare che l’onere della prova delle ragioni che giustificano il licenziamento (e quindi dell’avvenuto rilascio di quell’intervista) era a carico del datore di lavoro».

Solo l’accertamento preliminare dell’effettivo rilascio dell’intervista, quindi, sarebbe stato idoneo a risolvere la controversia, a nulla rilevando che non vi fosse stata, da parte del lavoratore, una pubblica smentita, o che il medesimo non avesse proposto querela nei confronti del giornalista o non avesse chiesto una rettifica alla redazione del giornale.

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