Contenzioso

L'obbligo contributivo in caso di reintegra

di Silvano Imbriaci

La sentenza della sezione Lavoro n. 5281/2017 aiuta a ricordare in che cosa consista il corretto versamento di contribuzione obbligatoria nel caso licenziamento e successiva reintegra per effetto di sentenza del giudice di merito a seguito di rinvio dalla Cassazione (in una vicenda giudiziaria conclusasi dopo ben 8 anni dal licenziamento). L'art. 18 della l. n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) nel testo applicabile al caso di specie – ossia prima della riscrittura da parte dell'art. 1, comma 42, lett. b) della legge n. 92/2012, prevedeva contestualmente alla reintegra la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subìto dal lavoratore per il licenziamento, stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, accompagnata dal versamento dei contributi assistenziali e previdenziali. Nel caso in esame, si controverte sulla misura della contribuzione previdenziale da applicare, dal momento che l'importo del dovuto a titolo di contributi era stato indicato in una consulenza, disposta in primo grado, che aveva recepito la sostanziale concorde determinazione delle parti in causa sul punto (datore di lavoro e INPS). Ebbene, secondo la Cassazione, posto che l'obbligazione contributiva non costituisce diritto disponibile (avendo rilevanza pubblicistica) la determinazione dell'imponibile contributivo in ogni caso non può che essere riferita alla retribuzione maturata da ciascun lavoratore, secondo i minimi tabellari del CCNL applicabile (ex art. 1, d.l. n. 338/1989, conv. in l. n. 389/1989). Dunque non secondo quanto erogato ai singoli lavoratori a titolo di risarcimento del danno, in quanto la misura di questo dipende da una serie variabile di circostanze che non possono aver alcuna influenza sul diritto del lavoratore ad una contribuzione piena, ossia all'integrale ricostituzione della posizione assicurativa, calcolata come se il licenziamento non fosse mai avvenuto. La questione della individuazione della base di computo dell'obbligo contributivo era infatti controversa, soprattutto nel caso in cui il risarcimento del danno fosse stato stabilito in misura corrispondente alla retribuzione spettante per un periodo minore, o per cinque mensilità anche a fronte di una durata minore del periodo di non attività, o ancora in misura superiore, in presenza di danni ulteriori. L'interpretazione giurisprudenziale prevalente aveva però ritenuto necessario rapportare l'obbligazione contributiva all'effettivo importo delle retribuzioni maturate e contrattualmente dovute, fino alla data della reintegra, anche se in un importo non coincidente con il danno liquidato in applicazione dei criteri indicati dall'art. 18 s.l. Solo con la riforma del 2012, a prescindere dalle sostanziali modifiche in ordine alle tipologie di licenziamento previste dalla norma, la condanna al pagamento della contribuzione prevista dall'art. 18 cit. viene ricostruita in modo specifico, indicandosi l'importo complessivo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum), con qualche difficoltà interpretativa posta dall'inciso seguente nel caso di contribuzione medio tempore affluita ad altre gestioni previdenziali e addebito dei relativi costi al datore di lavoro.
La seconda parte della sentenza riguarda l'applicazione del regime sanzionatorio. Il silenzio della normativa applicabile al caso de quo, in termini di sanzioni, è stato interpretato come implicita necessità di maggiorazione della contribuzione da versare con le somme aggiuntive derivanti dall'omesso versamento (la disciplina muta nel 2012, con la scomparsa dell'obbligo sanzionatorio, e la sopravvivenza della sola obbligazione accessoria degli interessi nella misura legale fino all'effettiva reintegrazione). Secondo la Cassazione, le sanzioni applicabili sono quelle relative all'evasione contributiva, intesa come la situazione nella quale il datore di lavoro abbia omesso di denunciare all'INPS rapporti di lavoro in essere e retribuzioni corrisposte. In particolare l'evasione ricorre quando il datore di lavoro indugi nel porre in esecuzione la sentenza del tribunale che lo obbliga alla reintegra dei lavoratori licenziati. Tale situazione non è infatti valutabile alla stregua di una incertezza connessa ad orientamenti giurisprudenziali contrastanti o diversi sopravvenuti (per la quale l'art. 116, comma 15, l. n. 388/2000 prevede i soli interessi legali), fattispecie che invece ricorre quando i contrasti o i mutamenti giurisprudenziali riguardino disposizioni di legge su cui si fonda l'obbligo contributivo e non semplici decisioni contrastanti nel corso di diversi gradi di giudizio all'interno dello stesso procedimento giudiziario.

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