Contenzioso

Per l’indennità di maternità nella gestione separata valgono anche i compensi non ancora percepiti

di Silvano Imbriaci

Per le lavoratrici iscritte alla gestione separata dell'Inps e non anche ad altre forme previdenziali obbligatorie, l'indennità di maternità spettante in base all'articolo 64 del Dlgs 151/2001 deve essere determinata non solo sui compensi percepiti nel periodo di riferimento (secondo il criterio di cassa), ma anche su quelli dovuti nello stesso periodo per l'attività di collaborazione coordinata e continuativa prestata (secondo il criterio di competenza).

E' questo il principio espresso dalla sezione Lavoro della Cassazione (sentenza 7120 del 20 marzo 2017), respingendo il ricorso dell'Inps. L'istituto ritiene che, in base al decreto ministeriale 22 aprile 2002, il reddito da considerare, riferito ai dodici mesi precedenti il periodo indennizzabile, è quello risultante dai versamenti contributivi riferiti al lavoratore interessato sulla base della dichiarazione del committente (art. 4, III comma), cioè va valutato e computato solo il reddito riferito ai versamenti contributivi già effettuati dal committente nell'arco temporale dei dodici mesi precedenti il periodo indennizzabile. Secondo un rigoroso criterio di cassa, infatti, non si potrebbe tener conto né dei versamenti ancora da effettuare, né dei contributi versati in un momento successivo, anche se ricollegabili ad attività lavorativa svolta nell'arco dei dodici mesi in questione.

La sezione Lavoro è di avviso contrario. L'articolo 4 del Dm, infatti, consente una interpretazione finalizzata alla valorizzazione della contribuzione relativa ad attività di lavoro svolta nell'arco temporale utile e che sia stata comunque versata, anche se in un momento successivo. Il criterio di cassa, peraltro non obbligatorio secondo la normativa, non impone, secondo la Corte, la sua adozione anche nella fase di attribuzione e calcolo della prestazione previdenziale connessa.

Per spiegare la fondatezza di questo assunto, la sentenza ricorre all'esame della disciplina della Dis-Coll (Dlgs 22/2015), indennità riconosciuta a quei collaboratori che siano in stato di disoccupazione, abbiano un minimo requisito contributivo nell'anno precedente all'evento della cessazione dal lavoro e possano far valere nell'anno solare in cui si verifica l'evento di cessazione almeno un mese di contribuzione oppure un rapporto di collaborazione di durata pari ad almeno un mese, e che abbia dato luogo a un reddito minimo (metà dell'importo che dà diritto ad un mese di contribuzione). Ebbene, secondo la Corte proprio quest'ultima indicazione dimostra che contribuzione versata e reddito di riferimento sono requisiti tra loro alternativi, nel senso che il mancato versamento della contribuzione non incide sulla sussistenza del diritto in presenza del relativo reddito.

Lo stesso deve valere anche per l'indennità di maternità per i collaboratori iscritti alla gestione separata. Peraltro, posto che la tutela della maternità per le lavoratrici iscritte alla gestione separata (articolo 2, della legge 335/1995), non iscritte ad altre forme obbligatorie, avviene nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente (articolo 64 del Dlgs 151/2001; articolo 59 legga 449/1997; articolo 80, comma 12, legge 388/2000), tale disposizione sarebbe lettera morta in caso di sterilizzazione dei relativi versamenti contributivi.

Insomma, se i versamenti contributivi sono stati effettuati, sia pure dopo i 12 mesi di maturazione del reddito di riferimento, non si pone neanche un problema di provvista e dunque non si comprende il motivo dell'adozione di un diverso criterio di computo. Inoltre, l'interpretazione adottata dalla Cassazione sembra essere maggiormente conforme sia al meccanismo di scadenza differita dell'obbligo di versamento dei contribuiti da parte dei soggetti erogatori di compensi per prestazioni inerenti ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (entro il 20 del mese successivo a quello della corresponsione del compenso) sia per la complessiva natura dei rapporti di collaborazione destinatari della disciplina.

Si tratta, infatti, di rapporti di lavoro caratterizzati da una «condizione di sottoprotezione analoga a quella dei lavoratori subordinati» (secondo le parole usate dalla Corte), nella quale concorrono natura autonoma del rapporto e obbligo di versamento della contribuzione assegnato a un terzo, con quel che ne consegue in termini di garanzia nella tutela dei diritti (con tutte le difficoltà nell'applicazione del principio dell'automatismo, trattandosi comunque di lavoratori autonomi). Il ritardo o il mancato versamento della contribuzione potrebbero dunque avere effetti negativi sul diritto alle prestazioni previdenziali, soprattutto quelle sensibili e ricollegate a diritti coperti da fondamento costituzionale, come la salute e la maternità; ciò consente un'interpretazione delle norme maggiormente aperta e rispondente alla necessità di tener conto di queste situazioni, nell'ottica complessiva della tutela della salute della donna e del nascituro.

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