Contenzioso

Prove rigorose per i contratti a titolo gratuito

di Silvano Imbriaci

È nota l'impostazione tradizionale della giurisprudenza, secondo cui ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, ma può essere ricondotta ad un rapporto diverso istituito affectionis vel benevolentiae causa, caratterizzato dalla gratuità della prestazione (da ultimo Cass.n. 19304/2015). Sotto questo profilo non rileva il grado maggiore o minore di subordinazione, cooperazione o inserimento del prestatore di lavoro, ma la sussistenza o meno di una finalità ideale alternativa rispetto a quella lucrativa, che deve essere rigorosamente provata.

Il caso affrontato dalla Sezione Lavoro con la sentenza n. 7925 del 28 marzo 2017 sembra ben attagliarsi a questa considerazione di principio. In sede di accertamento ispettivo dell'Inps era risultato che nel rapporto di lavoro di alcune insegnanti presso una scuola materna privata, e a carattere religioso, non erano stati versati i contributi previdenziali, sulla base di una ritenuta non onerosità del rapporto: le parti avevano infatti convenuto tra loro circa il fatto che non sarebbe stata erogata alcuna forma di retribuzione e che l'attività di insegnamento sarebbe stata certificata solo per consentire l'acquisizione di punteggi utili per assunzione in strutture pubbliche.

Tale pattuizione, nella ricostruzione del datore di lavoro, di per sé avrebbe escluso il carattere oneroso del rapporto, condotto per puro spirito di solidarietà, affectio vel benevolentiae causa. Non è in discussione dunque lo svolgimento dell'attività lavorativa nelle forme di una subordinazione, quanto la stessa onerosità del rapporto.

Sul punto la Cassazione precisa che la prova della gratuità (di cui deve essere gravata la parte che intende avvalersene) deve essere fornita in modo assai rigoroso, in quanto la regola è quella della onerosità del rapporto (anche per ovvi motivi che attengono alla tutela delle condizioni del lavoratore): quindi non bastano le concordi pattuizioni volte alla rinuncia alla retribuzione, ma occorre la ricorrenza di particolari condizioni soggettive e oggettive che, in sostanza, diano corpo alla esigenza di considerare, in quella particolare fattispecie, il lavoro come reso gratuitamente. E allora devono essere vagliate attentamente le modalità e le circostanze che hanno caratterizzato il rapporto: l'ammissione delle insegnati all'attività didattica, previa domanda presentata al direttore didattico, per gli anni scolastici attestati nei rispettivi certificati di servizio, la predisposizione di turni idonei a coprire tutte le ore dedicate all'insegnamento, la soggezione al controllo da parte del direttore didattico circa le modalità e la qualità dell'insegnamento, la natura chiaramente subordinata dell'attività, il vantaggio, misurabile in termini economici, che le stesse insegnanti si erano ripromesse consistente nell'acquisizione di punteggi utili alle graduatorie per future assegnazioni o futuri incarichi (anche se questo elemento non può essere considerato, a rigore, una vera contropartita, perché il conferimento di un vantaggio nella graduatoria non è nella disponibilità o nel potere del datore di lavoro).

Peraltro, negli ultimi tempi, nell'interpretazione giurisprudenziale, si è assistito ad un progressivo confinamento dell'area della gratuità del rapporto in spazi sempre più ridotti. E questo anche nel lavoro in ambito familiare, ossia il luogo nel quale la giurisprudenza si è trovata spesso a riconoscere in modo più agevole la sussistenza di un legame affettivo giustificativo della gratuità del rapporto (cfr. ad es. Cass. 17992/2010). In un contesto diverso, quale quello scolastico, in assenza di questo tipo di legame, l'area della gratuità è ancora più marginale, dovendo rispondere alla soddisfazione di ideali solidaristici o culturali o religiosi (religionis causa: cfr. ad es. Cass. n. 2987/1982, nella quale la Suprema Corte aveva riconosciuto la gratuità dell'attività di insegnamento svolta da una suora, poi spogliatasi dell'abito religioso, a favore della Congregazione di appartenenza per la realizzazione dei fini di quest'ultima); ciò fa sì che sia dunque maggiormente ardua la dimostrazione di tali evenienze. Anche la stessa natura libera dell'insegnamento non esclude che possa essere organizzata nella forma di produzione di beni o servizi, in quanto anche lo stesso insegnamento di per sé può essere considerato un servizio (cfr. Cass. n. 3879/2001)

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