Contenzioso

Infortuni, l’esonero dalla responsabilità va sempre provato dal datore di lavoro

di Luigi Caiazza

È il datore di lavoro che deve farsi carico di fornire la prova che il pregiudizio (infortunio) subito dal lavoratore, deriva da causa a lui non imputabile. È, questo, uno vari principi affermati dalla Corte di cassazione (Sezione Lavoro n. 9870 del 19 aprile scorso) nel respingere il ricorso di Poste Italiane contro la sentenza di condanna, in entrambi i gradi di giudizio, al risarcimento del danno morale subito da una propria dipendente a seguito di un infortunio sul lavoro. Il ricorso alla Cassazione si fondava essenzialmente per avere il giudice di merito gravata la sentenza, in violazione dell'articolo 2087 del codice civile, su una responsabilità datoriale di tipo oggettivo e per non avere espresso in motivazione quale fosse la norma violata che aveva determinato l'evento infortunistico. L'azienda lamentava, altresì che fosse stato riconosciuto il danno morale senza, tra l'altro, che fosse stata allegata alcuna circostanza diretta a comprovarlo. L a Cassazione respingeva la linea di difesa della parte ricorrente e, nell'affermare quanto già anticipato, precisava che colui (il lavoratore) che vanta un danno alla violazione dell'obbligo generale di sicurezza sancito dall'articolo 2087 del codice civile, non deve dimostrare la colpa dell'altra parte (datore di lavoro). Aggiungendo che anche se c'è concorso di colpa di altri dipendenti ciò non può essere ragione di esonero totale da responsabilità, salvo che la loro condotta costituisca causa esclusiva dell'evento. In merito alla paventata responsabilità oggettiva ipotizzata dalla parte ricorrente, la sentenza in esame riconosce che gli stessi giudici di merito non hanno delineato affatto tale ipotesi, in quanto hanno accertato che il datore di lavoro non aveva provato l'adozione di comportamenti specifici che, pur non dettati dalla legge, ma suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche nonché dagli standards di sicurezza normalmente osservati, fossero idonei ad evitare l'evento. Nei fatti era avvenuto che una lavoratrice era stata colpita dalla veemenza del movimento automatico e non sicuro di una maniglia girevole che, seppure segnalato con apposito cartello, il datore di lavoro aveva omesso di disporre sulla sua osservanza. Peraltro, la responsabilità che si deduce dall'articolo 2087 del codice civile non è circoscritta alla violazione di regole di esperienza o di regole tecniche collaudate, bensì , in modo aperto, esso sanziona l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di individuare l'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento o fase lavorativa. In merito al denunciato danno non patrimoniale comprovato dal pregiudizio alla effettiva realizzazione personale psicofisica ed affettiva della lavoratrice infortunata (reazione depressiva di lunga durata), nell'ambito della propria famiglia, la sentenza in esame osserva che esso non disciplina una autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinte da quella prevista dall'articolo 2043 del codice civile, ma regola i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, tra i quali emerge la necessità che la lesione sia grave e che il danno, come nella fattispecie in esame, non sia futile.

La sentenza 9870/17 della Corte di cassazione

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