Contenzioso

Deroga al contratto solo se in favore del dipendente

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

Comportamenti disciplinarmente rilevanti posti in essere dal lavoratore e suscettibili, alla luce della previsione dell’articolo 2106 del codice civile, di integrare gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento non possono giustificare la sanzione massima espulsiva nel caso in cui il contratto collettivo, in relazione a quegli stessi comportamenti, abbia previsto unicamente sanzioni conservative.

Precisa, in questo senso, la Corte di cassazione (sentenza 11027/2017) che ove l’autonomia collettiva, recepita dalle parti nel contratto individuale di lavoro, abbia negato che la specifica condotta inadempiente oggetto di contestazione disciplinare possa comportare un provvedimento espulsivo, al giudice è precluso, seppur facendo applicazione dei canoni di legge, pervenire alla conferma del licenziamento.

I concetti di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo, afferma la Cassazione, costituiscono nozione legale e, pertanto, eventuali previsioni difformi della contrattazione collettiva non sono vincolanti per il giudice. In tal caso, il magistrato chiamato a decidere la controversia è tenuto a un preliminare controllo sulla conformità delle previsioni disciplinari del contratto collettivo rispetto all’articolo 2106 del codice civile e, quindi, a rilevare la nullità delle disposizioni collettive che sanzionano con il licenziamento (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo) comportamenti del lavoratore che, alla luce del dettato codicistico, sono riconducibili, invece, a sanzioni meramente conservative.

Al giudice è interdetto, viceversa, compiere l’operazione contraria, nel senso che non gli è consentito, ad avviso della Corte, di ampliare il catalogo delle ipotesi di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo di licenziamento rispetto a quanto previsto dall’autonomia collettiva.

Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Suprema corte è relativo al licenziamento del dipendente di un’impresa attiva nel settore industriale della carta, al quale era stato contestato un acceso diverbio con il superiore gerarchico, sfociato nella formulazione di una espressione ingiuriosa.

Il contratto collettivo prevedeva che l’alterco, non seguito dalle vie di fatto, desse luogo a una mera sanzione conservativa. Sulla scorta di questa premessa, la Corte d’appello di Roma ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento e disposto la reintegrazione in servizio del lavoratore.

La società ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione, segnalando, tra gli altri profili di gravame, che la condotta del lavoratore non andava ricondotta nel contesto di un diverbio, bensì integrava un’ipotesi di insubordinazione, per essere stata rivolta un’espressione ingiuriosa nei confronti del superiore gerarchico.

La Corte rigetta le argomentazioni proposte dalla società e, nel confermare la precedente pronuncia di illegittimità di licenziamento, rimarca che l’episodio oggetto di contestazione disciplinare è avvenuto al di fuori dell’orario di lavoro, cosa che impedisce di attribuire rilievo al vincolo gerarchico tra i due lavoratori.

Viene, dunque, confermato che, non rientrando in ipotesi di insubordinazione, il licenziamento risulta illegittimo per essere stato adottato in relazione a una condotta (il diverbio non seguito da vie di fatto) che il contratto collettivo punisce unicamente con sanzione conservativa.

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