Contenzioso

La neo mamma può essere trasferita

di Angelo Zambelli

A pochi giorni dalla pronuncia che ha sancito la legittimità della procedura di licenziamento collettivo avviata da Almaviva Contact nel marzo 2016 (si veda il Sole 24 Ore del 29 aprile), il giudice del lavoro capitolino respinge il ricorso d’urgenza con cui una lavoratrice madre, addetta a una delle divisioni aziendali chiuse in esito alla procedura collettiva, si è opposta al trasferimento disposto nei suoi confronti dalla sede di Roma a quella di Rende, in Calabria.

La vicenda processuale si colloca – come anticipato – a valle della procedura di riduzione del personale conclusasi lo scorso dicembre con il licenziamento di 1.666 dipendenti, procedura che è divenuta oggetto di sindacato giudiziale a seguito del ricorso presentato dal Slc-Cgil e volto a far accertare, sotto quattro distinti profili tutti successivamente rivelatisi infondati, l’antinsindacalità della condotta di Almaviva nel corso delle trattative sindacali concluse, per quanto riguarda la sede della società in Napoli, con un accordo sottoscritto dalle Rsu al ministero dello Sviluppo Economico e, per quanto riguarda la sede di Roma, con un verbale di mancato accordo sfociato nel collocamento in mobilità unilateralmente disposto da Almaviva.

Alla fine di tale procedura la lavoratrice, madre di una bambina di 10 mesi, non poteva essere collocata in mobilità in quanto “protetta” dal divieto di licenziamento previsto dall’articolo 54 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità («fino al compimento di un anno di età del bambino», Dlgs 151/2001): da qui la decisione della società di trasferirla ad altra sede.

La ricorrente si è opposta al trasferimento adducendo, da un lato, ragioni di carattere familiare (essendo madre di tre figli di età compresa tra 10 mesi e 10 anni nonché coniugata con persona beneficiaria delle tutele previste dalla legge 104/1992) e, dall’altro, lamentando che la società convenuta stava in realtà proseguendo la propria attività a Roma, come era possibile evincere dall’avvenuta pubblicazione di annunci per la selezione di nuovo personale.

Dal canto suo l’azienda, che ha motivato il trasferimento della lavoratrice con la cessazione di ogni attività lavorativa presso la sede di Roma e con la conseguente impossibilità di utilizzarne altrimenti la prestazione lavorativa, si è costituita in giudizio dando prova sia dell’avvenuta chiusura della divisione cui era addetta la ricorrente, sia dell’impossibilità di ricollocare quest’ultima presso la business unit ricerche di mercato (ove era in atto la ricerca di nuovo personale) alla quale erano adibiti lavoratori in possesso di professionalità del tutto differenti.

Posizioni corrispondenti a quella rivestita dalla ricorrente, peraltro, non erano disponibili nemmeno presso le altre sedi della società a Milano, Palermo, Napoli e Catania, né la stessa lavoratrice è stata in grado di indicare una sede, alternativa a quella calabrese, ove fosse possibile utilizzare la sua prestazione.

Di fronte a tali evidenze il tribunale, con pronuncia 42428 del 27 aprile 2017, non ha potuto che respingere il ricorso, ritenendo legittimo il trasferimento: «d’altra parte – afferma il giudice del procedimento cautelare – l’articolo 54 del Dlgs n. 151/2001 si limita a vietare il licenziamento della lavoratrice madre fino al compimento di un anno di età del figlio, ma non vieta la sospensione dell’attività nel caso di cessazione del reparto cui era addetta la stessa lavoratrice, né il trasferimento della lavoratrice medesima».

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