Contenzioso

Rassegna della Cassazione

di Elio Cherubini, Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Procedimento disciplinare e audizione del lavoratore
Licenziamento per giusta causa e previsioni del contratto collettivo
Licenziamento per giusta causa e violazione dell'obbligo di fedeltà
Licenziamento ingiurioso e suoi presupposti
Licenziamento per giusta causa e pregiudizio patrimoniale subìto dal datore

Procedimento disciplinare e audizione del lavoratore

Cass. Sez. Lav. 11 aprile 2017, n. 9305

Pres. Nobile; Rel. De Marinis; P.M. Ceroni; Ric. G.A.; Controric. E.S.E. S.p.A..

Procedimento disciplinare - Audizione del dipendente - Portata - Assistenza del rappresentante sindacale - Necessità - Assistenza dell'avvocato - Esclusione - Fatti per i quali il dipendente è imputato in processo penale - Irrilevanza

Nel sistema delineato dall'art. 7, I. n. 300/1970, il diritto del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante sindacale esaurisce la tutela di legge, non essendovi in esso alcun riferimento alla difesa c.d. "tecnica" assicurata da un avvocato, che è normalmente prevista solo per il giudizio e che può essere riconosciuta o meno al di fuori di tale ipotesi in base a valutazione discrezionale del datore, né ha alcun rilievo la circostanza che il lavoratore, per gli stessi fatti oggetto dell'iniziativa disciplinare sia chiamato a rispondere nell'ambito di un processo penale considerata la diversità della sfera di interessi, privati e pubblici, su cui incidono i due procedimenti.

Nota

La Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in materia di licenziamento per giusta causa. Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Napoli, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare effettuata a distanza di sei mesi dalla conoscenza dei fatti da parte della società - avvenuta in occasione della sottoposizione del dipendete alla misura cautelare degli arresti domiciliari per concorso in furto di energia elettrica ai danni della società - e legittima la scelta di quest’ultima di non fare l'audizione del dipendente, a fronte del suo rifiuto di procedere secondo le modalità ordinarie (ovvero con l’assistenza di un rappresentante sindacale) in quanto richiedeva di essere assistito da un avvocato.

Avverso la predetta sentenza, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, denunciando, in particolare, la violazione del principio di immediatezza della contestazione e la non conformità a diritto (precisamente all’art. 7 Stat. Lav., nonché agli artt. 1175 e 1375 c.c.) della affermata, dalla Corte territoriale, giustificatezza dell’omessa audizione a difesa del ricorrente.

La Corte di legittimità ha rigettato il ricorso, sulla scorta dei seguenti principi: 1) non deve considerarsi tardiva la contestazione disciplinare avvenuta a distanza di alcuni mesi dalla conoscenza dei fatti da parte della società, soprattutto se, in detto intervallo di tempo, il datore ha immediatamente disposto la sospensione cautelare dal servizio, dimostrando la permanente volontà di procedere disciplinarmente nei suoi confronti; 2) il procedimento disciplinare ex art. 7 Stat. Lav. prevede esclusivamente il diritto del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante sindacale e non anche la cd. difesa tecnica, a mezzo di un legale, che è costituzionalmente assicurata nel nostro ordinamento solo in giudizio e che può essere riconosciuta o meno, al di fuori di tale ipotesi, in base a una valutazione meramente discrezionale del datore. Né assume rilievo il fatto che il lavoratore, per gli stessi fatti oggetto di procedimento disciplinare, sia chiamato a rispondere in sede penale, considerata la diversità di struttura del procedimento disciplinare, iscritto nell'ambito dei rapporti privatistici (Cass. 15/03/2016, n. 5057).

La Suprema Corte ha osservato come correttamente la Corte di merito, in ossequio ai principi sopra esposti, abbia, in primis, ritenuto "congruo" - anche in ragione della complessa organizzazione aziendale e dell’immediata sospensione cautelare disposta dall’azienda in attesa di più approfondite verifiche - il tempo (quantificato in sei mesi) di reazione disciplinare della società rispetto alla notizia degli arresti domiciliari e, in secundis, legittima la scelta datoriale di non procedere all’audizione del lavoratore a fronte della sua insistenza ad essere assistito da un avvocato.

Licenziamento per giusta causa e previsioni del contratto collettivo

Cass. Sez. Lav. 23 marzo 2017, n. 7511

Pres. Venuti; Rel. Lorito; P.M. Finocchi Ghersi; Ric. D. D. Contr. S. e V. s.p.a.;

Licenziamento per giusta causa - Previsioni del contratto collettivo - Natura esemplificativa - Non vincolatività per il giudice - Venir meno del rapporto fiduciario - Essenzialità - Sufficienza

La giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo; l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nelle previsioni dei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

Nota

Con la sentenza in epigrafe la Corte di Cassazione si occupa di un caso di licenziamento per giusta causa, irrogato a fronte di un comportamento non specificamente previsto nel contratto collettivo e convertito giudizialmente, in grado d’appello, in giustificato motivo soggettivo.

Sebbene il punto riguardante l’avvenuta conversione in giustificato motivo soggettivo e il correlativo motivo di ricorso per Cassazione non siano del tutto intelligibili, ciò che conta ai fini del presente commento è che la Corte ha ritenuto legittimo l’aver posto a base del licenziamento un comportamento che, seppur non sussumibile entro le causali previste dal contratto collettivo, sia egualmente idoneo a ledere il vincolo fiduciario che lega le parti del contratto di lavoro.

Ed infatti, osserva la Corte, che "la giusta causa di licenziamento è nozione legale" - i.e. norma elastica - e, in quanto tale, non vincola il giudice alle previsioni del contratto collettivo, alle quali ultima va attribuita valenza meramente esemplificativa.

Di conseguenza, spetta al giudice del merito - come nel caso in esame - sia valutare i fatti posti a fondamento del licenziamento e la loro gravità, in rapporto tanto al concetto di inadempimento, quanto alla contrarietà del comportamento alle norme della comune etica o del comune vivere civile, sia stabilire se gli stessi, complessivamente valutati, sono in grado di incidere irreversibilmente sul vincolo fiduciario che lega il datore di lavoro e il lavoratore (così integrando la previsione di cui all’art. 2119 c.c.).

Alla luce di tale orientamento, la lesione del vincolo fiduciario a seguito di un comportamento oggetto di contestazione disciplinare ad un dipendente, si presenta alla stregua di elemento indubbiamente necessario, ma altresì sufficiente a legittimare un licenziamento per giusta causa: il tutto, indipendentemente dalla sussumibilità della condotta entro le previsioni del contratto collettivo.

 

Licenziamento per giusta causa e violazione dell’obbligo di fedeltà

Cass. Sez. Lav. 4 aprile 2017, n. 8711

Pres. Di Cerbo; Rel. Manna; Ric. A.R.; Controric. R.F.I. S.p.A.;

Lavoro subordinato - Licenziamento per giusta causa - Lavoratore che si pone in aperto contrasto con finalità e interessi aziendali - Violazione obbligo di fedeltà - Sussistenza

L'obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c., integrato dai generali doveri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. nello svolgimento del rapporto contrattuale, deve intendersi non soltanto come mero divieto di abuso di posizione attuato attraverso azioni concorrenziali e/o violazioni di segreti produttivi, ma anche come divieto di condotte che siano in contrasto con i doveri connessi con l'inserimento del dipendente nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o che creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o che siano, comunque, idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto.

Nota

Nel caso in esame il lavoratore, dipendente da azienda gestrice di reti ferroviarie, aveva ricevuto due sanzioni disciplinari: la prima sanzione, consistente nella sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, era stata applicata per avere il lavoratore proseguito, malgrado espressa diffida aziendale, nell'incarico di consulente tecnico di parte dapprima di un parente di una delle vittime nel procedimento penale instauratosi a seguito di un incidente ferroviario e, poi, sempre nell’ambito del medesimo procedimento, di un’organizzazione sindacale; la seconda sanzione, consistente nel licenziamento per giusta causa, era stata intimata per avere il lavoratore proseguito, dopo la prima sanzione, nell’incarico di consulente tecnico di parte dell’organizzazione sindacale di cui sopra, nonché per aver rilasciato dichiarazioni lesive dell'immagine del gruppo di cui l’azienda fa parte e per averne pubblicamente ingiuriato l'amministratore delegato.

Il ricorso depositato dal lavoratore veniva rigettato in primo grado. Il successivo appello veniva dichiarato inammissibile dalla Corte d’Appello di Firenze.

Contro tale decisione ricorreva per Cassazione il lavoratore articolando vari motivi. In particolare e per quanto qui interessa, il lavoratore sosteneva che l’incarico di consulente tecnico di parte da lui svolto non integrerebbe una violazione dell’obbligo di fedeltà nei confronti della società datrice di lavoro in quanto tale fattispecie andrebbe ristretta alle sole attività concorrenziali o di cd. spionaggio industriale. Lo stesso lavoratore aggiungeva, poi, che l’incarico del CTP consisterebbe nel solo controllo dell’attività del perito e nell’esprimere un giudizio di natura tecnico-scientifica, come tale non in contrasto con gli interessi del datore di lavoro.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato tale motivo e rigettato l’intero ricorso.

La Suprema Corte, infatti, ha ribadito un suo costante orientamento secondo il quale "l'obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c., integrato dai generali doveri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. nello svolgimento del rapporto contrattuale, deve intendersi non soltanto come mero divieto di abuso di posizione attuato attraverso azioni concorrenziali e/o violazioni di segreti produttivi, ma anche come divieto di condotte che siano in contrasto con i doveri connessi con l'inserimento del dipendente nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o che creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o che siano, comunque, idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto.".

Con riferimento specifico al caso di specie la Suprema Corte ha avuto modo di rilevare come il lavoratore avesse violato l’obbligo di fedeltà nei confronti della società datrice di lavoro per aver assunto l’incarico di consulente tecnico di parte in favore di soggetti in dichiarato e concreto conflitto con quest’ultima.

Peraltro, in aggiunta a quanto sopra, la Cassazione ha osservato che il lavoratore, lungi dal limitarsi ad osservazioni tecnico-scientifiche, aveva sostenuto a più riprese la responsabilità della società datrice di lavoro per l’incidente ferroviario, invocandone la punizione, e con ciò ponendosi come concreto antagonista della stessa.

Licenziamento ingiurioso e suoi presupposti

Cass. Sez. Lav. 26 aprile 2017, n. 10316

Pres. Bronzini; Rel. Manna; P.M. Celentano; Ric. S.A.; Contr. C. di R. S.p.A.;

Licenziamento ingiurioso - Forma o modalità di irrogazione - Lesione dell'integrità psico-fisica - Necessità - Mancanza di giusta causa del recesso - Insufficienza

Per aversi licenziamento ingiurioso, che va provato da chi lo deduca, il recesso deve concretizzarsi - per la forma o per le modalità del suo esercizio e per le conseguenze morali e sociali che ne siano derivate - in un atto ingiurioso, ossia lesivo della dignità e dell'onore del lavoratore licenziato, connotazione che non si identifica con la mera mancanza di giustificazione del recesso.

Nota

La Corte di appello di Roma, confermando la decisione resa dal Tribunale, respingeva la domanda avanzata da un dipendente di un istituto di credito, tesa a far dichiarare la illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli, in data 2 luglio 2008, per ripetute sottrazioni dalla cassa di somme di denaro come contropartita di operazioni prive di giustificativi di spesa e, comunque, di plausibili ragioni.

Avverso tale decisione il lavoratore propone ricorso per cassazione. Con il primo motivo denuncia la violazione dell'art. 428 c.c. per avere, la sentenza di appello, negato che l'ammissione di alcuni addebiti era stata fatta dal ricorrente, in sede di audizione nel corso del procedimento disciplinare, con l'assistenza di un sindacalista ma in stato di incapacità naturale, tenuto conto delle, documentate, condizioni di turbamento psichico in cui lo stesso si trovava.

La Cassazione respinge il motivo, precisando che le ammissioni rese nel corso del procedimento disciplinare dal lavoratore hanno natura giuridica - ove accompagnate dall'animus confitendi - di confessione stragiudiziale resa alla parte, confessione equiparata a quella giudiziale (art. 2735, primo comma, c.c.) e non revocabile se non per errore di fatto o violenza (art. 2732 c.c.). E' pur vero, prosegue la sentenza, che tale animus deve escludersi nel caso di accertata incapacità naturale del dichiarante, ma la pronuncia di merito, con accertamento non censurabile, aveva verificato che la presenza di un sindacalista che assisteva all'audizione e il contenuto della documentazione sanitaria depositata, che riferiva di un generico stato di "incapacità parziale", portavano ad escludere l'invocata incapacità naturale.

Con successivo motivo, il ricorrente denuncia la sentenza di appello per non aver valutato il carattere ingiurioso del licenziamento, omettendo di considerare la prolungata emarginazione subìta, il reiterato demansionamento e la denigrazione cui era stato sottoposto il ricorrente.

La Suprema Corte respinge anche tale censura ed afferma che per aversi licenziamento ingiurioso, per costante orientamento della sezione, il recesso deve concretizzarsi - per la forma o per le modalità del suo esercizio e per le conseguenze morali e sociali che ne siano derivate - in un atto ingiurioso, ossia lesivo della dignità e dell'onore del lavoratore licenziato, connotazione che non si identifica con la mera mancanza di giustificazione del recesso (cfr. Cass. 19.11.2015, n. 23686; Cass. 23.10.2014, n. 22536), giustificazione che, peraltro, nel caso in esame, è stata ritenuta sussistente dal giudice di appello. In sostanza, il carattere ingiurioso del licenziamento, che va provato da chi lo deduca, deriva unicamente dalla forma in cui esso venga espresso, dalla pubblicità o da altre modalità con cui è stato adottato, idonee a ledere l'integrità psico-fisica del lavoratore. Nessuna di tali circostanze poteva ritenersi sussistente nella fattispecie in esame.

 

Licenziamento per giusta causa e pregiudizio patrimoniale subìto dal datore

Cass. Sez. Lav. 5 aprile 2017, n. 8816

Pres. Nobile; Rel. Spena; Ric. M.S.; Controric. T. S.p.A.;

Lavoro - Lavoro subordinato - Licenziamento - Licenziamento per giusta causa - Proporzionalità - Danno patrimoniale subìto dal datore di lavoro - Rilevanza - Esclusione.

Nel caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione non già l'assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti.

Nota

Nella sentenza in commento, la Suprema Corte affronta la questione della rilevanza dell'entità del pregiudizio patito dal datore per fatto del lavoratore ai fini della configurabilità di una giusta causa di licenziamento.

Nella fattispecie, un dipendente era stato licenziato disciplinarmente per avere prelevato, durante il turno lavorativo, venti litri di gasolio, appropriandosene.

Il lavoratore impugnava il recesso, deducendo una "alterazione momentanea delle proprie condizioni psichiche" nonché la "mancanza di proporzionalità della sanzione", attesa l'asserita speciale tenuità del fatto ed, in particolare, il modico valore del bene sottratto (venti litri di gasolio, corrispondenti ad un importo di 25-30 Euro).

Entrambi i Giudici del merito rigettavano l'impugnativa, statuendo, tra il resto, l'irrilevanza, ai fini della lesione del vincolo fiduciario, della "limitata entità del valore del bene sottratto".

Il dipendente proponeva ricorso per Cassazione, denunciando unicamente il difetto di proporzionalità della sanzione sub specie di violazione dell'art. 2119 c.c.

La Suprema Corte respinge la censura, affermando come, per orientamento costante, "la tenuità del danno non è da sola sufficiente ad escludere la lesione del vincolo fiduciario e che ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso viene in considerazione non già l'assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti".

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