Contenzioso

Regime da chiarire per i soggetti assunti a tutele crescenti

di Elsa Mora e Valentina Pomares

Con la sentenza 24377 del 30 novembre 2015, la Cassazione ha precisato che, in caso di licenziamento per inidoneità alle mansioni giudicato illegittimo, si applica la reintegrazione del lavoratore, secondo la disciplina dell’articolo 18, comma 7, della legge 300/1970, senza attribuire al giudice alcuna discrezionalità.

Tuttavia, il regime sanzionatorio applicabile cambia in base alle categorie di lavoratori.

Nel campo dell’articolo 18

Per i lavoratori soggetti all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ovvero assunti prima del 7 marzo 2015 da aziende con più di 15 dipendenti nell’unità produttiva o nell’ambito dello stesso comune o con più di 60 dipendenti sul territorio nazionale, in caso di licenziamento per il quale non sia dimostrata l’inidoneità del lavoratore alle mansioni, si applica la reintegra. Più dubbio è che cosa accada in caso di mera violazione dell’obbligo di repêchage da parte del datore. Una recente sentenza ha applicato a questa fattispecie la reintegrazione (Cassazione, sentenza 18594 del 22 settembre 2016). Questa decisione appare però difficilmente condivisibile, non potendosi ritenere che l’adempimento dell’obbligo di repêchage contribuisca a integrare la sussistenza del motivo oggettivo di licenziamento. In caso di sua violazione, al dipendente dovrebbe essere riconosciuta la sola tutela indennitaria, in base al comma 5 dell’articolo 18 (Tribunale di Roma, sezione lavoro, sentenza 7296 del 1 agosto 2016).

Piccole aziende

Meno gravi sono le sanzioni per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 da aziende di piccole dimensioni (non più di 15 dipendenti nell’unità produttiva o nello stesso comune e meno di 60 dipendenti sul territorio nazionale), per cui si applica l’articolo 8 della legge 604/1966): in questo caso, infatti, la sanzione è un’indennità risarcitoria da 2,5 a 6 mensilità di retribuzione globale di fatto (Tribunale di Pescara, sezione lavoro, 13 settembre 2016).

Contratto a tutele crescenti

Per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 con il contratto a tutele crescenti (Dlgs 23/2015), sorge qualche dubbio interpretativo. Non è chiaro, infatti, se il regime sanzionatorio applicabile sia quello dell’articolo 2 (che punisce il difetto di giustificazione del licenziamento per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore) o dell’articolo 3 (che punisce la mancata dimostrazione del motivo oggettivo di licenziamento).

Il fatto che l’articolo 2 sia rivolto solo ai casi in cui l’inidoneità discenda da una disabilità in senso tecnico potrebbe far propendere per l’applicazione dell’articolo 3 alle ipotesi di inidoneità “generica” (salvi i casi, per l’appunto, di disabilità vera e propria).

Ad ogni modo, l’interpretazione che i giudici daranno di queste disposizioni non è di poco conto:

l’articolo 2 prevede la reintegrazione oltre all’indennità risarcitoria per i licenziamenti discriminatori (sanzione applicabile anche alle piccole imprese);

l’articolo 3, invece, sancisce una mera tutela indennitaria pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a quattro e non superiore a 24 mensilità, per le imprese con più di 15 dipendenti (indennità dimezzata per le piccole imprese).

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