Contenzioso

Il dipendente che divulga atti contro il Comune non è tutelato dal«whisteblowing»

di Donato Antonucci


È legittimo il licenziamento di un dipendente comunale che ha diffuso scritti dal contenuto calunnioso. Lo ha deciso la Cassazione con la sentenza 1752 del 24 gennaio scorso.

La vicenda

Il lavoratore, nell’ambito di un procedimento disciplinare, aveva redatto una memoria difensiva nella quale, oltre che difendere la propria posizione, aveva denunciato svariate condotte illegittime da parte del sindaco e degli assessori, che spaziavano dall’asserita manipolazione del protocollo alla lamentata correzione di delibere di giunta, dal contenzioso con i cittadini nel settore delle concessioni edilizie a pretese variazioni del piano regolatore adottate in modo irregolare. La memoria, oltre che all’organo di disciplina, era stata inoltrata dal dipendente anche al prefetto, al procuratore della Repubblica, alla Corte dei conti, a consiglieri comunali e a rappresentanti sindacali.

Avuta notizia di questa denuncia dalla prefettura, per fatti risultati poi infondati, il Comune ha avviato un secondo procedimento disciplinare, conclusosi con il licenziamento, contestando al dipendente la violazione dell’obbligo di fedeltà, previsto dall’articolo 2105 del Codice civile, e dei generali doveri di correttezza e buona fede sanciti dagli articoli 1175 e 1325 del Codice civile. Ciò in quanto «le affermazioni contenute nella memoria insinuavano nel lettore la convinzione di una gestione oscura, opaca e per non dire del tutto illegittima del Comune da parte dei suoi vertici istituzionali». La trasmissione della memoria a soggetti esterni all’ente concretizzava, peraltro, un comportamento non giustificato da concrete esigenze difensive e posto in essere solo per gettare discredito sul datore di lavoro.

Nei gradi di merito il licenziamento era stato ritenuto legittimo, risultando dimostrata «sia l’entità della diffusione delle notizie, sia la lesività insita nella circostanza che i fatti ivi descritti erano risultati del tutto infondati e tanto rivelava l’effettivo intento di discredito perseguito dal ricorrente».

La decisione

La Cassazione ha ritenuto congrua la motivazione della decisione impugnata nella misura in cui la Corte di appello aveva «tratto argomenti di convincimento dal riscontro della palese infondatezza dei fatti denunciati» dal dipendente.

Incidentalmente, la Suprema corte ha anche ricordato che, pur essendo «doverosa la cooperazione del pubblico dipendente per l’emersione di fatti illeciti o comunque illegittimi» posti in essere dalla pubblica amministrazione, nella fattispecie non poteva operare l’articolo 54-bis del decreto legislativo 165/2001, né il ricorrente aveva lamentato la violazione delle disposizioni sul whistleblowing. Tale norma, infatti, esclude che il pubblico dipendente possa essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie qualora abbia denunciato all’autorità giudiziaria, alla Corte dei conti o all’Anac, condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro; ma ciò soltanto «fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del Codice civile».

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