Contenzioso

Confermato il nesso causale tra utilizzo dei telefoni cellulari e patologie tumorali

di Roberta Di Vieto e Marco Di Liberto

A poche settimane dall'emanazione di un’analoga pronuncia, anche il Tribunale di Firenze, Sezione Lavoro, con sentenza pubblicata il 24 giugno 2017, ha riconfermato l'esistenza del nesso causale tra la prolungata esposizione alle onde elettromagnetiche dei telefoni cellulari di prima generazione e l'insorgenza di tumori a carico di lavoratori esposti a tali fonti.

Il caso in esame riguarda un lavoratore che per circa tredici anni ha svolto mansioni comportanti il prolungato utilizzo di telefonici cellulari, e che ha contratto una patologia tumorale apparentemente correlata a tale esposizione.

Il lavoratore ha dapprima presentato domanda di accertamento della malattia professionale presso i competenti uffici Inail, lamentando danni permanenti superiori al 36% e chiedendo il pagamento della rendita da inabilità permanente ex articolo 13 del dlgs 38/2000.
Rigettata la domanda amministrativa, il lavoratore ha quindi convenuto l'Inail dinnanzi al Giudice del Lavoro, chiedendo accertarsi la malattia professionale e condannarsi l'ente al pagamento della citata rendita, cosicché il Tribunale, espletata la rituale Ctu medico-legale, ha accolto le domande del lavoratore, argomentandone i motivi in maniera approfondita ed apprezzabile.

Il Giudice ha preliminarmente chiarito che il termine triennale di prescrizione del diritto alle prestazioni in esame, di cui all'articolo 112 del dpr n. 1124/1965, inizia a decorrere allorché la consapevolezza dell'esistenza della malattia, nonché della sua origine professionale e del suo grado invalidante, siano desumibili da eventi oggettivi ed esterni all'assicurato, ovvero all'atto della proposizione della domanda amministrativa corredata dalla diagnosi medica che renda riconoscibile la patologia.

Nel merito, ad avviso del Giudice la consulenza tecnica d'ufficio aveva comprovato che il lavoratore fosse stato esposto alle onde elettromagnetiche dei telefoni cellulari per circa 2/3 ore al giorno e che, in ragione della localizzazione della patologia, nonché della durata dell'esposizione e dell'assenza di altre concause, potesse ritenersi provata l'esistenza del nesso di causalità tra la patologia e l'esposizione alle fonti nocive, e ciò attraverso un giudizio di ragionevole probabilità medico-scientifica.

Nel giungere a tali conclusioni, il Giudice ha aderito ai rilievi contenuti nella relazione del perito d'ufficio, ritenendo che gli oneri probatori a carico del ricorrente potessero ritenersi assolti alla luce dello svolgimento di mansioni comportanti l'utilizzo del telefono cellulare per molte ore al giorno, nonché dell'esposizione prolungata alle radiazioni prodotte dall'apparecchio, di prima generazione e di elevata potenza a causa della limitata diffusione delle reti Tacs e Gsm, oltre che dell'acclarata classificazione dei campi elettromagnetici quali “possibili cancerogeni – Gruppo 2B” da parte dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro.

Sulla base di tali rilievi, il Giudice ha ritenuto plausibile la sussistenza del nesso causale tra l'uso del cellulare e la patologia del ricorrente, e ciò in ragione non di una mera possibilità, bensì «in via di probabilità, della idoneità della esposizione al rischio a causare l'evento>, richiamando a sostegno di tale conclusione gli orientamenti della Cassazione in materia (ex plurimis, Cass. civ., sez. lav., 21.11.2016 n. 23653).

Attraverso tali motivazioni, il Giudice ha pertanto condannato l'Inail al pagamento in favore del lavoratore dell'indennizzo da rendita per inabilità permanente di cui all'articolo 13 del dlgs 38/2000, quantificato nel 16% e con decorrenza dalla data di presentazione della domanda amministrativa, oltre al pagamento delle spese processuali.
La sentenza in commento valorizza i più recenti orientamenti giurisprudenziali che hanno confermato l'esistenza del nesso causale tra l'esposizione dei lavoratori alle radiazioni elettromagnetiche e l'insorgenza di malattie professionali, aderendo ai principi espressi sia dalle Corti territoriali (cfr. Tribunale di Ivrea, sez. lav., sentenza del 21.4.2017; Corte d'Appello di Brescia, sentenza del 10.12.2009), sia dalla Suprema corte (Cass. civ., sez. lav., 12.10.2012 n. 17438), oltre a rappresentare un monito rivolto agli operatori del settore affinché adottino adeguati strumenti di prevenzione e protezione dei lavoratori da tali fonti nocive.

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