Contenzioso

Costituzione di rendita vitalizia e prova del rapporto di lavoro subordinato

di Silvano Imbriaci

L'articolo 13 della legge n. 1338/1962 è norma che consente ai lavoratori di neutralizzare, almeno in via di principio, il danno pensionistico derivante dal mancato versamento di contribuzione da pare del datore di lavoro, quando non sia più possibile adempiere a tale obbligo per essere la contribuzione dovuta irrimediabilmente prescritta (il regime pubblicistico della prescrizione in materia contributiva impedisce agli enti previdenziali di ricevere contribuzione per la quale è maturata la prescrizione: articolo 3, commi 9 e 10 della legge n. 335/1995). L'articolo 13 citato, dunque, consente di chiedere all'Inps la costituzione di rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell'assicurazione obbligatoria che sarebbe spettata al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.

L'iniziativa può spettare al datore di lavoro, mediante avvio di un procedimento nel quale sarà chiamato ad esibire all'Inps la documentazione avente data certa da cui sia possibile ricavare l'esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonché la misura della retribuzione erogata al lavoratore interessato. Oppure può essere lo stesso lavoratore, in caso di inerzia o impossibilità del datore, a sostituirsi ad esso, salvo risarcimento del danno, a condizione che fornisca all'Inps la prova del rapporto di lavoro e delle retribuzioni corrisposte. Come è facile intuire, tutto il sistema si regge sulla necessità di provare nel modo più puntuale e certo possibile i dati che consentono l'erogazione del trattamento pensionistico compensativo, idoneo a neutralizzare il mancato versamento di contributi.

L'esigenza di trovare un equilibrio tra la tutela del lavoratore effettivamente danneggiato e la facilità con cui potrebbero crearsi con questo meccanismo posizioni assicurative fittizie, pur presente nel testo e nella ratio della norma, ha indotto la giurisprudenza ad orientarsi, quale criterio guida, sull'analisi delle modalità con cui dimostrare l'esistenza e la durata del rapporto di lavoro, oltre che misura della retribuzione. Un punto fermo è rappresentato dalla prova dell'esistenza del rapporto: occorre che il rapporto risulti da atti aventi data certa e per questo è ammessa la sola prova documentale (Corte costituzionale n. 568/1989). Fermo restando il principio, la Cassazione ha poi affermato, in varie e ripetute occasioni, che la durata del rapporto di lavoro può invece essere provata con ogni mezzo, dovendola comunque circoscrivere al caso in cui il documento provi l'avvenuta costituzione del rapporto ad una data certa, dalla quale poter ricostruire, con ogni mezzo, sia la durata che l'onerosità del rapporto stesso (importo della retribuzione).

Il problema si pone dunque nell'individuazione dei limiti all'ammissibilità, in queste vicende, della prova testimoniale, prova che, peraltro, costituisce forse l'unica modalità con cui per i lavoratori è possibile, in presenza di rapporti di lavoro assai lontani nel tempo, tentare di sostenere la propria pretesa.

La sentenza della Cassazione n.17533 del 14 luglio scorso muove dunque da questi presupposti, ma puntualizza opportunamente una distinzione che spesso viene omessa o volutamente nascosta in queste vicende: non è sufficiente, ai fini della costituzione della rendita, la prova dell'esistenza di un rapporto di lavoro qualsiasi; occorre che sia dimostrata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. La prova della subordinazione si misura con lo stesso rigore formale della prova scritta richiesto per la prova del rapporto, in quanto è elemento che attiene ad un requisito essenziale per l'accesso alla prestazione. In altre parole, la prova testimoniale è consentita solo per le questioni che attengono alla durata e alla retribuzione: tutto il resto, ossia ciò che costituisce il presupposto principale per la tutela del lavoratore (esistenza di un rapporto di lavoro subordinato) è necessariamente affidato alla prova scritta. La distinzione è importante perché il principio ribadito oggi dalla Cassazione impedisce che, una volta accertata l'esistenza di un rapporto di lavoro, da questa si tragga, per mera via presuntiva, la natura subordinata di questo. Oltre che per i motivi che attengono alle esigenze sopra accennate, tale modalità di prova alternativa non è possibile anche per ragioni di stretto diritto: infatti, quando per un certo atto sia prevista la forma scritta (ad substantiam o ad probationem), la prova testimoniale o per presunzioni che abbia ad oggetto l'esistenza dell'atto o del contratto è inammissibile (con l'unica eccezione rappresentata dalla prova dello smarrimento incolpevole del documento). Quando dunque dalla documentazione fornita a sostegno della domanda di costituzione di rendita vitalizia non sia ricavabile agevolmente e documentalmente la natura subordinata del rapporto, non è possibile aprire la strada ad altre forme di prova della natura subordinata del rapporto (testimonianze, presunzioni). La prova della subordinazione non solo deve essere fornita documentalmente, ma non deve lasciare spazio o dubbi alla possibilità di ricostruire il rapporto in altra forma (ad esempio, nel caso di specie, è stata ritenuta decisiva ad escludere la natura subordinata la dichiarazione dei redditi degli anni di causa in cui erano presenti redditi da lavoro autonomo derivanti da rapporti di collaborazione senza vincolo di subordinazione).

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