Contenzioso

Per il rischio elettivo servono tre fattori

di Silvano Imbriaci

Con la sentenza 17917/2017 assai articolata e approfondita (rel. Riverso) la sezione Lavoro della Corte di cassazione torna sul tema del cosiddetto rischio elettivo in ambito Inail, per verificarne la ricorrenza, ai fini della indennizzabilità, nel caso in cui il lavoratore si procuri un infortunio quando già si trova in stato di inabilità per un precedente episodio, per il quale abbia ottenuto l'indennità di temporanea.

La vicenda riguarda lesioni che un coltivatore diretto si era procurato (manovra con un trattore) mentre egli già fruiva dell'indennità di temporanea per un precedente episodio; tale circostanza pone l'interprete nella necessità di dover valutare i confini dell'occasione di lavoro, per verificare se l'aver scientemente e volontariamente affrontato un'attività lavorativa (e un rischio) in uno stato di inabilità, durante il quale il lavoratore non avrebbe dovuto lavorare, costituisca in realtà un'ipotesi di rischio elettivo, ossia un atto arbitrario, illogico ed estraneo alle attività lavorative, capace dunque di escludere qualsiasi forma di indennizzabilità.

La Cassazione in via preliminare e logica smonta l'assunto sul quale si è basata la decisione del giudice di merito: è “troppo facile” affermare che l'essersi posto al lavoro in violazione del divieto derivante dalla precedente inabilità di per sé integra gli estremi del rischio elettivo. Non può, secondo la Corte, ravvisarsi un'ipotesi di rischio elettivo in tutti i casi in cui vi sia una violazione di una regola precauzionale, scritta o non scritta, come nel caso in cui sia non consentito dedicarsi ad attività lavorativa durante uno stato di inabilità derivante da un precedente infortunio.

In altre parole, pare del tutto ovvio (e non rispondente alla ratio della tutela) affermare che l'infortunio si evita evitando l'occasione di lavoro. In ambito infortunistico, infatti, in generale, non rileva la colpa del lavoratore, in quanto il presupposto fondamentale è che vi sia un'occasione di lavoro (compatibile con il concetto di colpa del lavoratore). La violazione di norme antinfortunistiche o di regole precauzionali ha rilievo nella misura in cui si tratta di un comportamento illecito, sanzionabile e riguardante il rapporto con il datore di lavoro (sia del lavoratore che dell'Inail, in sede di regresso); ma da un punto di vista della tutela antinfortunistica l'illiceità del comportamento non preclude la configurabilità di un evento indennizzabile. Anzi, così come accade nel fenomeno dell'assicurazione in generale, la colpa del lavoratore solitamente si pone alla base del sistema protettivo assicurativo, in quanto la protezione riguarda le conseguenze e lo stato di bisogno che deriva dall'infortunio.

Nella nozione di occasione di lavoro (nel cui ambito deve verificarsi l'infortunio per causa violenta) rientrano tutti i fatti anche straordinari e imprevedibili inerenti all'ambiente, alle macchine, alle persone e al comportamento dello stesso lavoratore, con il limite, appunto, del rischio elettivo. Ma tale concetto si misura sul nesso tra lavoro e infortunio, cioè sul rapporto tra attività svolte dal lavoratore ed evento dannoso.

L'elemento soggettivo è dunque marginale ed è rilevante solo nella misura in cui sia idoneo a escludere il collegamento funzionale con l'attività di lavoro (negli esempi indicati dalla Corte, in modo assai chiaro, anche il fatto doloso del terzo – per esempio una rapina al portavalori – può essere atto non idoneo a spezzare tale collegamento funzionale).

Il suggerimento della sentenza è dunque quello di valutare, secondo le circostanze del caso concreto, se sussista tale collegamento funzionale, ossia se sia ravvisabile l'occasione di lavoro (intesa come generale riferibilità funzionale del fatto all'attività di lavoro). L'occasione di lavoro dunque, per chiudere il cerchio del lucido ragionamento logico della Corte, non è esclusa dalla violazione della regola secondo cui il lavoratore già in stato di inabilità per precedente infortunio non dovrebbe porsi in condizione tale da subire un altro infortunio, lavorando.

Anche se vi è un dovere di astensione derivante dallo stato di inabilità, la sua violazione non vale ad interrompere il nesso finalistico con l'attività di lavoro. I limiti esterni dell'indennizzabilità sono costituiti sostanzialmente dalle manifestazioni del dolo (non è indennizzabile l'assicurato che abbia simulato un infortunio o dolosamente aggravato le conseguenze dello stesso, così come nelle ipotesi in cui il contributo doloso incide sugli effetti dell'infortunio stesso).

Il rischio elettivo, che pregiudica l'indennizzo, è costituito da ciò che risulta estraneo e non attinente all'attività lavorativa, e soprattutto riconducibile ad una scelta arbitraria del lavoratore; in sostanza, tutto ciò che non costituisce occasione di lavoro. Deve trattarsi di un rischio derivante da un comportamento non solo volontario, secondo pulsioni e desideri che vanno oltre l'ambito lavorativo specifico, ma anche scollegato ed indipendente rispetto all'attività lavorativa (è per questo motivo che il concetto di colpa, nella verifica del rischio elettivo solitamente non rileva, tranne che nelle ipotesi di infortunio in itinere dove è oggettivamente più sfumato il collegamento con l'attività lavorativa del comportamento rischioso).

Alla individuazione del rischio elettivo concorrono dunque questi fattori:
- volontarietà ed arbitrarietà dell'atto, illogico ed estraneo rispetto alla normale attività;
- finalizzazione dell'atto alla soddisfazione di interessi e impulsi di natura strettamente personale;
- assenza di alcun nesso di derivazione dell'evento con lo svolgimento dell'attività lavorativa.

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