Contenzioso

Domicilio sbagliato? No al licenziamento

di Patrizia Maciocchi

Può essere sospeso ma non licenziato il lavoratore che, usufruendo di congedi straordinari per assistere il padre, fornisce un indirizzo di quest’ultimo diverso da quello in cui in realtà il genitore abita. Perché scatti la massima “punizione” non basta, infatti, l’errata indicazione della residenza, ma serve la prova che i permessi sono stati usati per fare altro.

La Cassazione, con la sentenza 20098/2017 , depositata ieri, respinge il ricorso di un’azienda che ribadiva la giusta causa di licenziamento per un dipendente accusato di aver tradito il vincolo fiduciario. All’indirizzo fornito dal lavoratore al suo datore c’era, infatti, una casa vacanze, mentre il padre, per assistere il quale il lavoratore usufruiva di congedi straordinari (Dlgs 151/2001) e dei permessi previsti dalla legge 104/1992, abitava con il dipendente stesso, la nuora e i nipoti in un altro posto.

Secondo la ricorrente era provato, anche grazie al rapporto degli investigatori, che nella residenza indicata c’era una casa vacanze gestita dal dipendente.

Per i giudici di seconda istanza, ai quali la Cassazione si allinea, l’unica circostanza provata riguarda l’indicazione sbagliata del domicilio relativo al luogo in cui il padre, affetto da una grave forma di handicap, veniva accudito. Ma l’errore, senza la prova del “dolo”, non basta: per contestare la mancata assistenza è necessario fornire maggiori precisazioni. L’assistenza di un infermo non comporta, infatti, in alcun modo la presenza costante e continuativa a fianco dello stesso, tanto che la legge non prevede la convivenza.

In ogni caso, aveva precisato la Corte di merito, i tempi di assenza del dipendente licenziato dalla propria abitazione erano stati saltuari e limitati. Del tutto irrilevante era anche il fatto che l’uomo durante le assenze da casa si occupasse anche della gestione della casa vacanze.

Sulla sola erronea formale indicazione del domicilio non si può fondare una sanzione espulsiva e la condotta può invece rientrare nel raggio d’azione dell’articolo 54 punto 4 N previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro, applicando il quale il dipendente può essere sospeso dal servizio senza retribuzione per 10 giorni.

La Cassazione respinge anche la contestazione relativa all’obbligo di risarcimento senza la possibilità di decurtare quanto il dipendente ha guadagnato lavorando altrove. Per i giudici l’impiegato è stato lontano dal lavoro solo tre mesi: troppo poco per aver trovato un’altra occupazione. In ogni caso spetta al datore provare il cosiddetto aliunde perceptum in virtù del quale si può “tagliare” il risarcimento. Un onere che non è possibile scaricare sul giudice chiedendogli di attivare i suoi poteri istruttori.

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