Contenzioso

Licenziabile il dipendente infortunato che svolge un altro lavoro

di Massimiliano Biolchini e Serena Fantinelli


La Corte di cassazione, con la sentenza 19089/2017, è intervenuta in un caso di licenziamento per giusta causa comminato a un dipendente formalmente assente per malattia, ma sorpreso dagli investigatori privati a lavorare presso terzi, e ha consolidato il proprio rigoroso orientamento giurisprudenziale secondo il quale siffatta condotta, a prescindere dall'attestazione prognostica di guarigione rilasciata dal medico, costituisce un illecito disciplinare che ne giustifica il provvedimento espulsivo.

Nel caso in esame il dipendente, un medico del lavoro, è rimasto coinvolto in un grave infortunio in itinere tale per cui, secondo il certificato rilasciato nell'immediatezza del fatto dal medico dell'Inail, la ripresa del lavoro sarebbe dovuta avvenire ben diciotto mesi dopo l'evento, a convalescenza avvenuta. Durante la sua assenza, però, il datore di lavoro ha ingaggiato un investigatore privato, e ha così appreso che il proprio dipendente, pur formalmente ancora in convalescenza, si recava con cadenza quotidiana presso la farmacia di proprietà della moglie, ove lavorava per non meno di sei ore consecutive. Tanto appreso, la società aveva contestato al dipendente il comportamento descritto, e proceduto al successivo licenziamento per giusta causa.

Il medico del lavoro è ricorso in giudizio, ma sia il tribunale che la Corte di appello di Roma hanno confermato la legittimità del licenziamento. Il dipendente ha deciso di impugnare la decisione in Cassazione, lamentando sia che quanto attestato dal medico dell'Inail non poteva essere messo in discussione dalle risultanze dell'investigazione privata, perché la ripresa dell'attività non poteva avvenire autonomamente prima di quanto stabilito dalla certificazione, sia che il licenziamento risultava comunque sproporzionato rispetto alla condotta contestata.

La Corte di cassazione ha rigettato ogni censura e, in particolare, ha sottolineato come la prognosi di guarigione certificata dal medico, pur provenendo da un pubblico ufficiale, costituisca «una mera presunzione di fatto», e non sia quindi «fidefaciente», essendo una semplice «manifestazione di scienza in relazione allo stato morboso, verificato alla data dell'attestazione (peraltro spesso anche in base alle mere dichiarazioni rese dal soggetto direttamente interessato, come non di rado capita nella pratica), rapportata ad un momento successivo e quindi futuro».

La Corte, richiamato sul punto il proprio precedente orientamento (25162/2014; 17625/2014), ha evidenziato come il datore di lavoro ben possa svolgere accertamenti sulle circostanze di fatto atte a dimostrare l'insussistenza della malattia, o la non idoneità di quest'ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa, o sullo svolgimento da parte del lavoratore di un'altra attività lavorativa; non incorrendo tali accertamenti nella violazione dell'articolo 5 dello statuto dei lavoratori (che vieta al datore di lavoro di svolgere accertamenti di tipo sanitario sullo stato di infermità o infortunio del lavoratore dipendente).

Pertanto, lo svolgimento da parte del lavoratore assente per malattia di un'altra attività lavorativa incompatibile con il presunto stato morboso è idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede, e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, «ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolente simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l'attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore».

La gravita della condotta posta in essere dal lavoratore, quindi, ha posto in dubbio la futura correttezza nell'adempimento della prestazione lavorativa ed ha giustificato il licenziamento intimato, perché proporzionato alla grave violazione del vincolo fiduciario perpetrata dal dipendente.

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