Contenzioso

Se il medico competente sbaglia, i lavoratori vanno reintegrati

di Matteo Prioschi


Se un'azienda licenzia dei dipendenti sulla base di un non sufficientemente motivato giudizio di inidoneità alla mansione redatto dal medico competente, i lavoratori vanno reintegrati e devono essere loro riconosciute le retribuzioni non pagate nel periodo compreso tra il licenziamento e il ritorno all'attività, secondo quanto previsto dall'articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

Il 29 giugno 2010 tre dipendenti di una società sono stati licenziati perché il medico competente (figura prevista dall'articolo 25 del decreto legislativo 81/2008, testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) ha accertato l'assoluta inidoneità fisica degli stessi alle mansioni assegnate. Tuttavia in primo grado e in appello tale decisione è stata ritenuta illegittima, perché i giudici non hanno ritenuto sufficientemente motivato il giudizio di inidoneità.

La società ha presentato ricorso in Cassazione, ma i giudici della Suprema corte, con l'ordinanza 21022/2017 depositata ieri, hanno ribadito l'orientamento espresso nei primi due gradi di giudizio. In particolare la documentazione presentata dal medico competente è stata ritenuta «scarna» e la Corte d'appello ha evidenziato «la carenza di allegazioni e prove circa la natura delle patologie sofferte dai lavoratori e circa la natura degli aggravamenti subiti tali da determinare la detta totale inidoneità al lavoro».

Peraltro i dipendenti, ricorrendo contro il licenziamento, hanno presentato una dichiarazione della Asl in base alla quale gli stessi risultavano idonei alla mansione. Ma non è tutto, perché il medico competente, che nel 2010 aveva sancito l'inidoneità, nel 2013, a seguito dell'avvenuta reintegrazione dei lavoratori in azienda, ha cambiato la sua valutazione, ritenendoli idonei. Da qui, scrivono i giudici di Cassazione, «derivando evidentemente l'erroneità del giudizio di invalidità permanente ed assoluta sulla base del quale l'azienda licenziò i lavoratori».

La Suprema corte conferma anche la misura del risarcimento del danno fissata nei primi due gradi di giudizio, e pari alle retribuzioni perdute dal licenziamento fino alla reintegra. Secondo l'azienda tale risarcimento avrebbe dovuto essere pari al minimo, cioè a cinque mensilità, per mancanza di colpa della stessa. Una ipotesi non condivisa dai giudici, perché è stato accertato che «la società provvide a licenziare i controricorrenti sulla base di accertamenti del medico competente privi di adeguato riscontro sanitario, del resto smentito dai successivi responsi dello stesso sanitario».

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