Contenzioso

Il diritto alla pensione e la responsabilità dell’Inps per comunicazioni errate

di Silvano Imbriaci

La Sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza n. 23050 dello scorso 3 ottobre, torna sul tema dei rapporti tra comunicazioni dei dati contributivi e assicurativi provenienti dell'ente previdenziale e conseguimento del diritto a pensione, quando il perfezionamento dei requisiti per l'accesso sia inibito o ritardato per effetto di indicazioni dell'Istituto di Previdenza poi risultate erronee.

Il fatto che le modalità di accesso ai dati pensionistici e contributivi individuali, anche mediante strumenti informatici, siano negli ultimi tempi diventate più immediate, rende la questione di possibili erronee comunicazioni al cittadino di estrema attualità, soprattutto in ordine alle conseguenze di tipo risarcitorio di eventuali danni economici che possono derivare dalle scelte effettuate fidando sulla correttezza dei dati provenienti dall'ente.

Nel caso di specie l'errore imputato all'Inps avrebbe indotto il lavoratore a rinunciare all'impugnazione di un licenziamento, a favore di un periodo di mobilità che sulla base, appunto, di tali indicazioni provenienti dall'Istituto, era stato considerato sufficiente per la maturazione del requisito minimo per l'accesso al trattamento pensionistico. Il principio generale ormai acquisito, in materia di erronee comunicazioni dell'Inps, non nega l'esistenza di un diritto del lavoratore al risarcimento del danno quando le dimissioni dal lavoro finalizzate all'accesso al trattamento pensionistico siano state determinate da una certificazione/comunicazione dell'ente previdenziale (Inps ) poi rivelatasi erronea. In proposito l'art. 54 l. n. 88/1989 prevede uno specifico procedimento per il rilascio della certificazione dei contributi presenti sulla posizione assicurativa del lavoratore. La questione si sposta, tuttavia, sui limiti di estensione dell'ambito della responsabilità, soprattutto in caso di rilascio della comunicazione al di fuori del procedimento previsto dalla legge. Se è vero, infatti, che la responsabilità (di tipo contrattuale) dell'ente si configura, in queste vicende, quando le informazioni siano rilasciate su richiesta formale dell'interessato, abbiano la capacità di provocare un errore scusabile e si riferiscano a dati ufficiali inerenti la posizione dell'assicurato, è anche vero che, al di fuori di queste evenienze tutto sommato “tipiche”, l'ente conserva un obbligo più generale di comunicare, a richiesta, i dati relativi alla posizione previdenziale e pensionistica del richiedente, con comunicazione idonea ad assumere valore certificativo.

Secondo la giurisprudenza, in ordine a questo generale obbligo, sussiste una precisa responsabilità da parte dell'ente previdenziale nella diffusione di informazioni sbagliate o approssimative nei confronti di un cittadino sulla propria posizione assicurativa quando da tali dichiarazioni possa derivare un danno anche al di fuori di uno specifico procedimento attivato dalla parte privata; e questo anche se la misura del risarcimento debba essere diminuita quando il destinatario di tali informazioni abbia trascurato le espressioni cautelative contenute nelle stesse informazioni e idonee a far dubitare dell'esattezza dei dati esposti (Cass. n. 21454/2013).

Rispetto al rigore della precedente tesi interpretativa della Cassazione (che limitava la responsabilità alle ipotesi tipiche dell'art. 54 cit.), il nuovo corso della giurisprudenza di legittimità attribuisce la giusta rilevanza ai principi di buona fede e di tutela dell'affidamento del cittadino a fronte di comunicazioni provenienti dall'Istituto. Su questa linea si muove anche la sentenza della Cassazione in commento; il principio di buon andamento che governa l'attività amministrativa impone la veridicità degli atti e dei provvedimenti della pubblica amministrazione, anche alla luce dell'art. 1175 c.c. che assiste l'affidamento dell'assicurato su dati ed informazioni in possesso degli enti previdenziali, la cui comunicazione all'esterno deve essere accompagnata dalla necessaria diligenza ed attenzione, proprio per non ingenerare false rappresentazioni della realtà. Sotto questo profilo, dunque, non hanno rilevanza né la mancata sottoscrizione dell'estratto rilasciato, né l'impossibilità di individuare il funzionario responsabile, una volta che sia dimostrato l'inadempimento dell'ente previdenziale nella comunicazione di dati pensionistici ed assicurativi non corrispondenti al vero e, per questo, fonte di danno in relazione a possibili scelte lavorative o pensionistiche che si rivelano errate (e pregiudizievoli).

Per quanto riguarda il danno risarcibile, lo stesso di norma ha natura patrimoniale (cfr. però Cass. n. 3023/2010) e le possibili voci che possono in astratto essere considerate riguardano il mancato trattamento pensionistico, le mancate retribuzioni, nonché l'interruzione dei versamenti contributivi, anche volontari.

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