Contenzioso

Per i «collettivi» niente repêchage

di Serena Fantinelli e Uberto Percivalle

Nei licenziamenti collettivi non esiste in capo al datore di lavoro alcun obbligo legale di repêchage, e l’eventuale impegno assunto dallo stesso in sede di accordo sindacale, volto a favorire la ricollocazione dei lavoratori coinvolti dalla procedura, ha «natura meramente contrattuale»: la sua eventuale violazione non costituirà quindi una violazione dei criteri di scelta o della procedura stessa.

È quanto chiarito dalla Corte d’appello di Milano che, con sentenza n.131/2017 (Presidente Laura Trogni, Cons. Relatore Carla Bianchini), chiamata a decidere sulla legittimità di un licenziamento, ha chiarito quali, nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, debbano essere ritenute violazioni degli obblighi di legge, aventi come conseguenza l’invalidità del licenziamento, e quali invece configurino violazioni meramente contrattuali, aventi conseguenze solo risarcitorie.

Nel caso in esame un’impresa di costruzioni aveva avviato una procedura di licenziamento collettivo che riguardava l’intera forza lavoro addetta ad uno dei propri cantieri, incluso un lavoratore che vi era stato assegnato a seguito di un precedente provvedimento di reintegra. All’esito della procedura sindacale, le parti avevano concluso un accordo con il quale erano stati concordati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e la società si era altresì impegnata a «favorire prioritariamente la ricollocazione dei lavoratori» presso futuri cantieri (propri o di imprese partecipate) «compatibilmente con le necessità ed esigenze tecniche, organizzative o produttive dei lavori e delle relative tempistiche». Il lavoratore già reintegrato, era stato però licenziato senza che fosse stata possibile una sua ricollocazione, ed aveva così impugnato il licenziamento, lamentandone la natura ritorsiva e comunque l’illegittimità per violazione dell’obbligo di repechage.

Sia il Tribunale in primo grado, sia la Corte d’appello in seconda istanza, hanno rigettato le censure del lavoratore.

La Corte d’appello, in particolare, ha confermato la natura meramente contrattuale dell’impegno alla ricollocazione assunto dalla società e ha ribadito come non sussista, nel caso del licenziamento collettivo, alcun obbligo di repêchage, il quale è un «elemento appartenente al licenziamento per giustificato motivo oggettivo» che comporta un vincolo solo per il datore di lavoro alle cui dipendenze opera il lavoratore, e non certamente presso terzi.

In sostanza, secondo la Corte, l’impegno a favorire la ricollocazione dei lavoratori in posizioni future o presso terzi sottende una valutazione già operata dalle parti circa l’inesistenza di posizioni lavorative attuali in cui collocare i dipendenti, e costituisce solo una eventuale opportunità alla quale il datore di lavoro non è obbligato per legge, ma alla quale si vincola contrattualmente, con la conseguenza che il mancato rispetto dell’impegno assunto «può comportare … solo eventuali conseguenze risarcitorie a carico della società, mentre nessuna incidenza può avere rispetto alla legittimità o meno del licenziamento, che rimane vincolato al rispetto della procedura ed ai criteri di scelta».

A dire la verità, l’appellante aveva in extremis tentato di svolgere una simile pretesa risarcitoria per il preteso inadempimento dell’obbligo di ricollocazione. Tuttavia la Corte l’ha ritenuta inammissibile, perché proposta solo in sede di opposizione anche se fondata su fatti diversi dalla pretesa invalidità del licenziamento (ed in ogni caso ricordando che agli atti esistevano prove degli sforzi operati dalla società per ricollocare l’appellante).

Nel complesso si tratta di una sentenza da ricordare bene, per i molteplici insegnamenti circa gli impegni alla ricollocazione, abbastanza ricorrenti nella prassi delle trattative in sede di procedure collettive di licenziamento.

La sentenza n. 131/17 della Corte d'appello di Milano

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