Contenzioso

Dipendente licenziabile anche se il controllo sulla posta elettronica avviene senza accordo sindacale

di Giulia Bifano e Massimiliano Biolchini

Anche in assenza di accordo sindacale è legittimo il controllo effettuato sulla casella di posta elettronica del dipendente consapevole della possibilità di accesso datoriale alle informazioni contenute nel computer in sua dotazione.
In particolare, questa verifica è lecita se condotta nel rispetto dei criteri di proporzionalità, correttezza e pertinenza e al solo scopo di accertare, sulla base di un ragionevole sospetto, la commissione di condotte illecite idonee a danneggiare il patrimonio aziendale da parte del dipendente.
Con questa pronuncia, contenuta nella sentenza n. 26682 del 10 novembre 2017, la Corte di cassazione ribadisce l'esclusione dei cosiddetti controlli difensivi dall'ambito di applicazione delle tutele previste dall'articolo 4 della legge 300/1970, che disciplina i controlli a distanza. Pur essendosi la Corte pronunciata sulla versione della norma antecedente la riforma introdotta dal Dlgs 151/2015, se ne traggono comunque utili spunti di riflessione per tutti gli strumenti di controllo ancora soggetti a preventiva autorizzazione.
La Corte, nel rigettare il ricorso di un dipendente licenziato per avere inviato una serie di e-mail contenenti ingiurie e volgarità nei confronti di superiori e colleghi, sottolinea come la verifica effettuata nel caso in esame costituisca un controllo finalizzato alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro, quale è il patrimonio aziendale, e non invece all'accertamento dell'adempimento della prestazione.
Decisivi ai fini della determinazione della Corte la fondatezza del sospetto del datore di lavoro e la circostanza che il dipendente fosse a conoscenza, insieme ai propri colleghi, dell'esistenza di una procedura di periodica duplicazione e conservazione dei dati contenuti nei computer aziendali.
Infatti, il controllo aziendale ha preso le mosse dalla segnalazione di un'anomalia da parte dell'amministratore di sistema, dovuta al tentativo reiterato di cancellazione dei file che il server periodicamente duplicava. La lettura degli stessi file è così risultata giustificata dall'emergenza di un comportamento anomalo e dunque sospetto.
Chiamati ad operare quello che la stessa Corte definisce un non agevole bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali e la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore, i giudici di legittimità ribadiscono come tale contemperamento debba essere operato di volta in volta, non potendosi prescindere dalle circostanze del caso concreto e per evitare il rischio di scivolare nel riconoscimento di un sistema di garanzie in capo al lavoratore ingiustificatamente superiore di quello offerto a soggetti terzi, coinvolti nella commissione di un illecito ai danni dell'azienda.
Via libera dunque dalla Cassazione ai licenziamenti conseguenti a controlli svolti in assenza di accordo sindacale ma nel rispetto dei criteri previsti dal Codice Privacy, a condizione che il dipendente sia preventivamente informato dell'esistenza di accessi periodici da parte del datore di lavoro sui computer aziendali e che i controlli avvengano a seguito di un fondato sospetto circa illeciti non meramente attinenti al rendimento della prestazione e attraverso il ricorso alle misure e ai metodi meno invasivi possibili.
Con quest'ultima decisione, che arricchisce il già folto panorama giurisprudenziale in tema di controlli a distanza, la Corte di cassazione offre importanti chiarimenti circa i confini di legittimità, anche dal punto di vista operativo, di siffatto controllo. Chiarimenti questi che dovranno essere letti alla luce della recente sentenza della Corte europea dei diritti umani, sul caso B. v. Romania n. 61496/08, nella quale i giudici di Strasburgo hanno affermato l'esistenza di una illegittima violazione della privacy dei dipendenti da parte del datore di lavoro tutte le volte in cui il controllo operato da quest'ultimo e i relativi scopi non siano preventivamente annunciati ai lavoratori interessati.

La sentenza n. 26682/17 della Corte di Cassazione

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