Contenzioso

No alla reintegrazione del lavoratore a tutele crescenti licenziato ad nutum in assenza di un patto di prova

di Vincenzo Fabrizio Giglio

In regime di «tutele crescenti», il lavoratore licenziato in prova, in assenza di un valido patto o a periodo ormai spirato, non ha diritto alla reintegrazione bensì alla sola tutela indennitaria maggiore, pari a 4 mensilità di retribuzione nelle aziende con più di 15 dipendenti o a 2 mensilità nelle aziende minori.

Questa la recente decisione del Tribunale di Roma (sentenza 6 novembre 2017), il quale ha dichiarato la nullità del patto di prova che il datore di lavoro asseriva (ma non provava) di aver ritualmente sottoscritto prima dell'inizio del rapporto; e, come conseguenza, riteneva «che lo stesso fosse un rapporto definitivo sin dalla data della sua costituzione, con la logica conseguenza che il licenziamento comminato nel l’asserito periodo di prova, deve essere dichiarato illegittimo e pertanto annullato». Tuttavia, il rapporto, sorto nel 2016, era soggetto al regime delle cosiddette «tutele crescenti», ai sensi del Dlgs 4 marzo 2015, n. 23. Nell'introdurre la motivazione della propria decisione, il Tribunale ha voluto precisare che, a dispetto del nome, la nuova disciplina del «contratto a tutele crescenti» non introduce una nuova tipologia contrattuale, bensì un nuovo regime sanzionatorio nelle ipotesi di licenziamento illegittimo. L'espressione «tutele crescenti», prosegue il Giudice, fa più propriamente riferimento alle modalità di calcolo dell'indennità dovuta al lavoratore, ove non siano applicabili le «residuali ipotesi […] che implicano la reintegrazione del lavoratore» (ossia, quando non sia applicabile l'articolo 2, Dlgs n. 23/2015). Viceversa, nella maggior parte dei casi, conclude la sentenza, il lavoratore avrà diritto a percepire esclusivamente un indennizzo economico.

Anche nel caso di licenziamento «in prova» – ove difetti un valido patto – pertanto, il lavoratore avrà diritto al solo indennizzo predeterminato, nella misura di quattro mensilità (nel caso di lavoratori licenziati da datori di lavoro con più di 15 dipendenti) ovvero di due mensilità, negli altri casi.

La sentenza si iscrive all'orientamento che sembra stia divenendo maggioritario. Oltre a quella di Roma, infatti, risultano aver deciso nello stesso senso anche la già nota Tribunale Milano, 11 novembre 2016 (Dott.ssa Bertoli) (oggetto di un nostro commento su Quotidiano Lavoro del 24 aprile 2017, e su Guida al Lavoro n. 18/2017, a cura A. Zambelli); Tribunale Teramo, 14 febbraio 2017, (Dott.ssa Pietropaolo); Tribunale Firenze, 13 giugno 2017 (Dott. Nuvoli); Tribunale Roma, II Sez. Lav., 22 giugno 2017 (Dott. Luna); Tribunale Milano, 12 settembre 2017 (Dott. Mariani).

Sull'altro fronte, permane invece l'orientamento espresso da altre decisioni in base alle quali il licenziamento ad nutum sprovvisto dei presupposti, va sanzionato con la reintegrazione attenuata ai sensi dell'art. 3, comma 2, Dlgs n. 23/2015 (in questo senso hanno deciso: Tribunale Torino del 16 settembre 2016, Dott.ssa Mancinelli; Tribunale Milano, 3 novembre 2016, Dott. Scarzella; Tribunale Milano, 6 febbraio 2017, Dott.ssa Saioni).

La via che porta ad un chiarimento da parte della Corte di cassazione sembra però ancora lunga. Ancora in molti casi, pertanto, il licenziamento in (insussistente) periodo di prova avrà esiti non facilmente prevedibili.

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