Contenzioso

La riforma Fornero allunga i tempi di prescrizione dei crediti di lavoro

di Vincenzo Fabrizio Giglio

Per consolidato orientamento, la giurisprudenza ha a lungo affermato che, nei rapporti di lavoro subordinato assistiti dalla «tutela reale» (ossia, nelle aziende con più di 15 dipendenti), eventuali crediti maturati dal lavoratore ma – per le più varie ragioni – non riscossi, erano soggetti alla prescrizione quinquennale anche durante il corso del rapporto di lavoro; nelle aziende più piccole, invece, la prescrizione decorreva soltanto a partire dal termine del rapporto.

Poteva così accadere, ad esempio, che una mensilità o dello straordinario non pagati potessero essere richiesti dal lavoratore della piccola azienda anche a distanza di molti anni, magari dopo il pensionamento, mentre il lavoratore della grande azienda doveva attivarsi per tempo, per non vedere estinto il proprio diritto per effetto della prescrizione.

Questa differenza di trattamento veniva giustificata con la considerazione che il lavoratore della grande azienda era tutelato, in caso di licenziamento per ragioni pretestuose, dalla tutela «reale» del posto di lavoro ossia dal diritto a riavere il proprio posto di lavoro, mentre ciò non avveniva per il lavoratore della piccola azienda, per il quale la reintegrazione rappresentava una possibilità eccezionale. Se ne deduceva che il lavoratore non protetto dall'articolo 18 dello statuto dei lavoratori era inevitabilmente soggetto al timore di poter essere licenziato nel caso in cui avesse rivendicato dei propri, pur legittimi, diritti, mentre il lavoratore della grande azienda, più tutelato, non aveva ragione di temere.

Questo scenario, condivisibile o meno, è stato indiscusso fino all'entrata in vigore della riforma Fornero, nel luglio 2012. Con tale provvedimento (legge 92/2012) fu modificato l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, limitando la sanzione della reintegrazione ai soli casi più gravi di illegittimità del licenziamento e stabilendo che negli altri casi il lavoratore avesse diritto a un mero indennizzo economico.

Il nuovo contesto normativo, dunque, ha indotto una parte della giurisprudenza a un ripensamento del tradizionale orientamento: se oggi, infatti, l’articolo 18 non offre più la certezza della reintegrazione nel posto di lavoro, argomentano alcune sentenze, si deve ritenere che anche i dipendenti delle grandi aziende siano oggi soggetti al metus, ossia al timore, di perdere il posto di lavoro nel caso in cui rivendichino il loro diritto, ad esempio al pagamento di una retribuzione arretrata. Pertanto, è stato deciso che anche per questi lavoratori la prescrizione deve rimanere sospesa per tutta la durata del rapporto di lavoro, poiché solo dopo la sua cessazione il lavoratore riacquisterebbe la propria libertà di azione.

Tale orientamento non è esente da critiche (si rinvia, al riguardo, a quanto già scritto in Crediti di lavoro: prescrizione ferma al 18 luglio 2007, in Guida al Lavoro, 2016, 4, 41 e seguenti). Ma occorre prendere atto che la tesi sta trovando riscontro in diverse sentenze presso il tribunale di Milano (ad esempio, dottor Di Leo, 16 dicembre 2015; dottor Lombardi, 7 ottobre 2016; dottoerssa Locati, 12 aprile 2017; dottoressa Moglia, 6 novembre 2017) e il tribunale di Torino (dottor Croci, 25 maggio 2016). Presso altri fori sembra resistere l'orientamento tradizionale che nega la sospensione della prescrizione ai lavoratori delle grandi aziende (ad esempio, tribunale Milano, 7 ottobre 2016, dottoressa Bertoli; Corte d'appello di Roma, 13 e 16 novembre 2017, estensori dottoressa Franchini e dottor Chiriaco; tribunale Torino, 7 novembre 2017, dottoressa Ferro).

Naturalmente, è facile ritenere che i sostenitori del nuovo orientamento ne faranno applicazione anche nei rapporti di lavoro «a tutele crescenti», nei quali la possibilità di reintegrazione è ancora più remota.
E ancora presto perché la Corte di cassazione abbia occasione di pronunciarsi sul tema. È lecito presumere, tuttavia, che non occorrerà attendere ancora molto.

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