Contenzioso

Portabilità della posizione pensionistica complementare anche per i fondi a ripartizione

di Silvano Imbriaci

Tra le varie questioni interpretative che riguardano la normativa in tema di previdenza integrativa, vecchia e nuova, la tematica del riscatto e/o del trasferimento della posizione previdenziale è oggetto della recente pronuncia della Corte di cassazione del 1° dicembre 2017, numero 28874, che ribadisce ed applica i principi già enucleati con chiarezza dalla giurisprudenza di legittimità.

La questione riguarda, semplicemente, la richiesta di un lavoratore di accedere al riscatto della propria posizione previdenziale aperta su un fondo integrativo (nella vecchia disciplina risalente al Dlgs 124/2003, prima della riforma del 2005), essendo venuti meno i presupposti per la partecipazione alla forma pensionistica complementare.

Il caso, a ben vedere, è espressamente regolato dall'articolo 10 del Dlgs 124/1993, norma che consente al lavoratore, in caso di perdita dei requisiti per la partecipazione alla specifica forma pensionistica complementare, o l'accesso a un nuovo fondo di previdenza complementare in relazione alla nuova attività, o il trasferimento a uno dei fondi pensione aperti o, infine, il riscatto della posizione individuale.

Questo catalogo di possibilità, che potremmo riassumere nel concetto di portabilità della posizione pensionistica individuale, aveva posto qualche problema interpretativo nella giurisprudenza per le situazioni pregresse, soprattutto con riferimento a forme di previdenza integrativa basate sul sistema a ripartizione, nelle quali, cioè, la misura della prestazione appare sostanzialmente sganciata rispetto all'insieme dei contributi versati dal lavoratore o per suo conto, e non sul diverso sistema a capitalizzazione individuale.

Occorre rilevare che la tendenza del legislatore negli anni ’90 all'introduzione di meccanismi di capitalizzazione individuale, nel calcolo del trattamento pensionistico, si è manifestata anche nel settore della previdenza complementare, dove sono stati previsti principi del tutto allineati e omogenei rispetto a questa tendenza, quali, appunto, la portabilità della posizione previdenziale, il cui diritto per il lavoratore è stato ribadito e perfezionato, dopo l'articolo 10 citato, anche dalla legge 335/1995 e dal Dlgs 47/2000 (nel senso di una portabilità volontaria sganciata dal presupposto della cessazione del rapporto di lavoro).

La disciplina poi è stata ridefinita in modo più organico dal Dlgs 252/2005 (articolo 14) che ha dettato regole specifiche, distinguendo tra:
a) portabilità occasionata, con il trasferimento ad altra forma pensionistica complementare in relazione allo svolgimento di nuova e diversa attività da parte del lavoratore;
b) portabilità volontaria: attribuzione della facoltà di trasferimento della posizione individuale, con un requisito minimo di anzianità nel fondo pensionistico (gli statuti dei fondi devono contenere un'espressa e non equivoca norma in tal senso).

Nonostante questo apparato normativo abbastanza dettagliato, la giurisprudenza si era nel tempo continuata a dividere sulla questione dell'applicazione del diritto alla portabilità nel caso di fondi a ripartizione (detti anche a capitalizzazione collettiva e non individuale), dal momento che, nel prevedere la possibilità del riscatto, l'articolo 10 del Dlgs 194/1993 aveva usato l'espressione «riscatto della posizione individuale», elemento quest'ultimo teoricamente assente nei fondi a ripartizione – perché concettualmente incompatibile, e comunque di difficile enucleazione rispetto alla connotazione collettiva degli stessi.

Le perplessità sono state però superate dalle sezioni unite della Cassazione (sentenza 477/2015), che hanno esteso l'applicazione del principio della portabilità anche ai fondi pensionistici preesistenti rispetto all'introduzione della regola normativa, indipendentemente dalla loro natura, e questo per evidenti ragioni di implementazione della copertura previdenziale.

Secondo la giurisprudenza della Cassazione, infatti, non deve essere confuso il concetto di posizione previdenziale individuale con quello di conto individuale: la prima è ciò che risulta dai versamenti effettuati dal lavoratore o per suo conto (apporto contributivo specifico individuale) e se non è immediatamente determinata nel quantum è comunque determinabile grazie a regole e metodologie matematiche; il conto individuale invece costituisce una modalità di gestione del patrimonio del fondo e nulla ha a che fare con la portabilità della posizione, che invece costituisce un diritto pieno ed acquisito per tutti i titolari di una posizione previdenziale integrativa o complementare.

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