Contenzioso

I contributi per l’indennità sostitutiva del preavviso vanno versati quando c’è la sentenza, anche se di primo grado

di Silvano Imbriaci

Un dirigente d'azienda è stato licenziato per giusta causa. Il tribunale, tra le altre cose, dopo aver accertato l'illegittimità del licenziamento, ha condannato il datore di lavoro al pagamento dell'indennità di preavviso dovuta in assenza di una giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro.

La questione però non riguarda tanto la dinamica del versamento dell'indennità sostitutiva, quanto gli effetti, sul piano previdenziale, del versamento in ritardo della relativa contribuzione. Trattandosi di voce equiparabile a un elemento retributivo, l'indennità di preavviso è infatti assoggettata a contribuzione previdenziale; l'Inps ha dunque chiesto al datore di lavoro il pagamento delle sanzioni civili e degli interessi di mora in conseguenza del ritardato versamento dei contributi sull'indennità sostitutiva del preavviso, posto che la sentenza di condanna al pagamento di questa era stata pubblicata nel marzo 2006 e il datore di lavoro aveva versato la relativa contribuzione solo otto mesi dopo, nel mese di novembre dello stesso anno.

Dunque la questione affrontata dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 4211 del 21 febbraio 2018, riguarda i criteri per determinare la tempestività nel versamento di contributi sull'indennità di preavviso, e dunque le ipotesi in cui, in caso di ritardo, siano dovute le somme accessorie (sanzioni civili ed interessi). Sul punto, la fase di merito aveva accertato l'infondatezza della pretesa sanzionatoria, in quanto alla scadenza del termine per il versamento dei contributi sull'indennità di preavviso il rapporto previdenziale era cessato per effetto della cessazione del rapporto di lavoro a seguito del licenziamento. E, allo stesso modo, non poteva dirsi tardivo neanche il versamento della contribuzione otto mesi dopo la sentenza di condanna al pagamento dell'indennità, in quanto a quel momento l'obbligo non poteva dirsi consolidato, in assenza del passaggio in giudicato della sentenza che lo aveva riconosciuto. L'Inps, invece, aveva ritenuto irrilevante ai fini dell'esclusione dell'obbligo contributivo la illegittimità del recesso, in quanto il datore di lavoro risponde del suo inadempimento colpevole nei confronti del lavoratore e degli enti previdenziali ai quali spetta la riscossione dei contributi obbligatori.

Secondo la Cassazione, l'errore in cui sono cadute le sentenze di merito è di prospettiva. Non può infatti essere applicato al caso specifico il principio espresso da un orientamento della Cassazione (7934/2009), sia pur recessivo e superato dalla successiva pronuncia delle sezioni unite 19665 del 18 settembre 2014.

In altre parole non può dirsi condivisibile il punto di partenza da cui muove quella linea interpretativa, ossia il fatto che logicamente non possa rivivere un'obbligazione contributiva per effetto della reintegra, con tutte le sue scadenze nel tempo e con l'effetto automatico della mora del debitore e quindi dell'obbligo sanzionatorio per la relativa omissione contributiva alle scadenze di legge, in assenza di rapporto. Infatti, la questione dei tempi di versamento della contribuzione per l'indennità sostitutiva del preavviso è questione del tutto diversa rispetto alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro in funzione della tutela reale.

Peraltro, anche le stesse sezioni unite della Cassazione, come abbiamo accennato, hanno finito per porre alcuni distinguo che hanno sottratto forza a quel principio. Occorre infatti distinguere tra nullità o inefficacia del licenziamento e sua annullabilità in assenza di giusta causa o giustificato motivo.

Nel primo caso la sentenza che accerta la nullità del licenziamento non ha efficacia costitutiva, per cui il datore di lavoro è tenuto al pagamento delle sanzioni civili per omissione (non evasione); nel secondo caso, invece, le sanzioni non si applicano, almeno per il periodo che va dal licenziamento all'ordine di reintegra (successivamente alla reintegra riprende vigore la normale disciplina dell'evasione/omissione contributiva).

Dunque, tornando al preavviso, il fatto che sia stata versata la relativa contribuzione ben otto mesi dopo la sentenza dichiarativa del licenziamento implica la sussistenza di un inadempimento. Infatti, il debito contributivo è sorto nel momento in cui il giudice, accertata l'illegittimità del licenziamento ha condannato il datore di lavoro al versamento. Ed è allora solo a quel momento che bisogna guardare per la verifica della tempestività del versamento della contribuzione, non avendo alcun rilievo la pendenza del giudizio di impugnazione. Infatti la sentenza di I grado, costitutiva dell'obbligo, è provvisoriamente esecutiva, e non è attribuibile al mancato passaggio in giudicato di questa il ritardo nel versamento della contribuzione dovuta.

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