Contenzioso

È ritorsivo il licenziamento collettivo che penalizza chi non fa i turni

di Angelo Zambelli

Nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo per riduzione del personale, l'ordinamento stabilisce che i lavoratori da licenziare vadano individuati in relazione alle esigenze tecnico-produttive e organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti dai contratti collettivi stipulati con i sindacati ovvero, in mancanza di tali accordi, nel rispetto dei seguenti tre criteri in concorso tra loro: carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico-produttive e organizzative (articolo 5 della legge 223/1991).

La regola del concorso, se impone al datore di lavoro una valutazione globale di tali criteri, «non esclude tuttavia che il risultato comparativo possa essere quello di accordare prevalenza a uno di questi criteri e, in particolare, alle esigenze tecnico-produttive (essendo questo il criterio più coerente con le finalità perseguite attraverso la riduzione del personale) sempre che una scelta siffatta trovi giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto dal datore di lavoro e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie» (Cassazione 25553/2016).

Proprio su quest'ultimo aspetto, ossia quello di un possibile utilizzo discriminatorio (o più correttamente, ritorsivo) del criterio delle esigenze tecnico-produttive, si è soffermata la Corte di cassazione con la sentenza 6987/2018.

Nel caso specifico una procedura di licenziamento collettivo si è conclusa senza accordo con i sindacati e l'azienda ha formato una graduatoria dei dipendenti – ai fini della individuazione dei destinatari del provvedimento di recesso – attribuendo punteggi diversi ai criteri di scelta legali, senza portare il relativo calcolo applicativo a preventiva conoscenza delle organizzazioni sindacali e circoscrivendo la procedura agli addetti a un determinato settore (cassa), senza prendere in considerazione il personale addetto ad altro reparto (vendita) con mansioni fungibili.

In particolare la società ha unilateralmente deciso di attribuire un peso ai criteri dell'anzianità di servizio (massimo quattro punti) e dei carichi di famiglia (un punto per ogni familiare a carico) «incomparabile» rispetto a quello riconosciuto alle esigenze tecnico organizzative e, in particolare, al lavoro in turni (10 punti).

La notevole differenza di punteggio assegnata ai diversi criteri aveva così comportato «una rilevanza decisiva di quello organizzativo, fondato sulla disponibilità dei lavoratori ad accettare una turnazione e per fasce orarie».

Tuttavia, tale prevalenza di un unico criterio, pur in principio compatibile con la previsione dell'articolo 5 della legge 223/1991, nel caso concreto si è rivelata tale – a giudizio della Corte – da svelare un intento ritorsivo «nei confronti dei lavoratori che per gravi motivi, personali o familiari, non potevano aderire alla turnazione» determinando così l'illegittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©