Contenzioso

La tutela dei lavoratori prevale sempre sull’interesse alla prosecuzione dell’impresa

di Mario Gallo

La Corte costituzionale, con la sentenza 23 marzo 2018, n. 58, nel dichiarare l'illegittimità dell'art.colo 3 del Dl 4 luglio 2015, n. 92, recante “Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l'esercizio dell'attività d'impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale”, ha ribadito con fermezza i principi che regolano il rapporto tra tutela del diritto alla salute dei lavoratori e interesse datoriale alla prosecuzione dell'attività d'impresa.
La vicenda trae origine dall'infortunio mortale subito da un lavoratore dell'Ilva, esposto, senza adeguate protezioni, ad attività pericolose nell'area di un altoforno dello stabilimento di Taranto; nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero aveva disposto, con decreto del 18 giugno 2015, il sequestro preventivo d'urgenza, senza facoltà d'uso, del citato altoforno, ravvisando le esigenze cautelari di cui all'articolo 321, c. 1 e 2, del Codice di procedura penale, ma il legislatore, dopo pochi giorni, aveva disposto la prosecuzione dell'attività di impresa alla sola condizione che entro trenta giorni la parte privata colpita dal sequestro approntasse un piano di intervento.

La questione di legittimità costituzionale.
Con ordinanza del 14 luglio 2015 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto ha sollevato, però, questioni di legittimità costituzionale del citato articolo 3, in riferimento agli articoli 2, 3, 4, 32, primo comma, 35, primo comma, 41, secondo comma, e 112 della Costituzione.
Il Dl n.92/2015, infatti, all'articolo 3, comma 1, stabilisce che «Al fine di garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva, di salvaguardia dell'occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia, l'esercizio dell'attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro, come già previsto dall'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, quando lo stesso si riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori».
Sulla base di tale linea da un lato il successivo comma 2 stabilisce che l'attività d'impresa non può protrarsi per un periodo di tempo superiore a 12 mesi dall'adozione del provvedimento di sequestro, mentre come accennato il comma 3 prevede che per la prosecuzione dell'attività «l'impresa deve predisporre, nel termine perentorio di 30 giorni dall'adozione del provvedimento di sequestro, un piano recante misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, riferite all'impianto oggetto del provvedimento di sequestro» da trasmettere sia all'autorità giudiziaria che al Comando provinciale dei Vigili del fuoco, agli uffici della Asl e dell'Inail competenti per territorio per le rispettive attività di vigilanza e controllo, attribuendo a questi ultimi il delicato compito, anche mediante lo svolgimento di ispezioni, di verificare l'attuazione delle misure e delle attività aggiuntive previste nel piano.

La prevalenza del diritto alla salute dei lavatori sull'interesse alla prosecuzione dell'attività d'impresa.
La Consulta ha così accolto l'eccezione di legittimità costituzionale, rilevando che con l'articolo 3 del Dl n.92/2015, il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l'interesse alla prosecuzione dell'attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (articoli 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (articoli 4 e 35 Cost.).

Il sacrificio di tali fondamentali valori tutelati dalla Costituzione ha, quindi, indotto la Corte a ritenere che la normativa impugnata «....non rispetti i limiti che la Costituzione impone all'attività d'impresa la quale, ai sensi dell'art. 41 Cost., si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l'incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l'attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona».

In merito la Consulta ha ricordato ancora che già in passato ha avuto modo di affermare che l'articolo 41della Costituzione deve essere interpretato nel senso che esso «limita espressamente la tutela dell'iniziativa economica privata quando questa ponga in pericolo la “sicurezza” del lavoratore» (sentenza n. 405 del 1999); per altro è costante la giurisprudenza costituzionale nel ribadire che anche le norme costituzionali di cui agli articoli 32 e 41 della Costituzione impongono ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e dell'integrità fisica dei lavoratori (sentenza n. 399 del 1996).

Quest'orientamento, anche se appare destinato a far discutere circa il bilanciamento dei diritti all'attività imprenditoriale e il diritto alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, appare comunque pienamente condivisibile in quanto nella gerarchia dei diritti che ricevono la massima protezione a livello costituzionale il diritto alla salute del cittadino lavoratore è considerato prevalente sul diritto d'iniziativa d'impresa.

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