Contenzioso

L’operaio pregiudicato non basta a provare l’infiltrazione mafiosa

di Giuseppe Latour

La presenza di dipendenti pregiudicati non basta da sola a provare l’infiltrazione mafiosa. E, quindi, ad escludere un’impresa dall’assegnazione di appalti pubblici. Servono altri elementi a consolidare l’interdizione.

Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con una recente sentenza (n. 3138/2018) nella quale viene analizzato il caso di una società colpita proprio da un’interdittiva antimafia del prefetto. Un intervento che, nel settore degli appalti pubblici, ha una serie di effetti molto negativi: soprattutto, in questo caso, l’esclusione dalla «white list» (l’albo provinciale delle aziende sicuramente al riparo dalle infiltrazioni mafiose) e il recesso immediato della Pa da un contratto di appalto per la gestione di rifiuti. Il motivo del provvedimento di interdizione era la presenza nella compagine aziendale «di molteplici dipendenti pregiudicati, dediti ad attività criminale e/o contigui ad attività criminali».

Secondo i giudici amministrativi, però, questa non è una motivazione che, da sola, può giustificare una decisione così radicale. «A rilevare - dice la sentenza - non è il dato in sé che un’impresa possa avere alle proprie dipendenze soggetti pregiudicati oppure sospettati di essere contigui ad ambienti mafiosi». Bisogna, invece, valutare «quanto la presenza degli stessi possa essere ritenuta indicativa, alla luce di una quadro indiziario complessivo, del potere della criminalità organizzata di incidere sulle politiche assunzionali dell’impresa e, mediante ciò, di inquinarne la gestione».

Non c’è, allora, alcun automatismo tra la presenza di dipendenti «controindicati» e il tentativo di infiltrazione mafiosa nell’impresa. «Se così non fosse - dice il Consiglio di Stato nella decisione -, se ne ricaverebbe che un soggetto pregiudicato non possa mai essere assunto da alcuna impresa, non solo se attiva nel mercato delle commesse pubbliche (e, più in generale, dell’economia pubblica), ma anche se operante nell’economia privata. Ma così evidentemente non è».

Questo ragionamento vale soprattutto perché, in questo caso, alcune delle assunzioni finite sotto esame erano legate all’adempimento di un obbligo giuridico, la cosiddetta «clausola sociale». Si tratta del vincolo in base al quale, in fase di cambio di esecutore negli appalti pubblici, il personale utilizzato dall’impresa uscente viene tutelato e va sempre riassorbito dal nuovo appaltatore (con qualche eccezione).

In questi casi, allora, «non è esigibile che l’imprenditore si sottragga agli obblighi assunzionali». In assenza di previsioni di legge che esplicitamente gli consentano di non rinnovare il rapporto per evitare il rischio di infiltrazione, l’unica strada per lui è assumere i dipendenti. Non ha, poi, senso escluderlo dagli appalti.

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