Contenzioso

Indennità di trasferta esente anche se l’attività è sempre esterna

di Enzo De Fusco

Se l'indennità di trasferta è corrisposta in modo variabile, ossia escludendo i giorni in cui il lavoratore risulta assente, ad esempio per ferie, malattia o infortunio, si applica il regime fiscale e previdenziale di esenzione totale previsto dall'articolo 51, comma 5 del Tuir e non quello previsto dal successivo comma 6 per i trasfertisti che comporta il prelievo fiscale e previdenziale in modo forfettario al 50 per cento. E questo anche se il lavoratore svolge una prestazione caratterizzata dall'essere eseguita sempre fuori dall'impresa al punto da essere considerato un trasfertista. Queste sono le conclusioni dell'importante sentenza della Cassazione 16263/2018 depositata ieri che ha risolto a favore dell'impresa un caso molto diffuso in Italia.

La sentenza assume un significato molto rilevante perché conferma i principi di diritto già stabiliti dalla Cassazione a sezione unite (27093/2017) e dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell'articolo 7-bis del Dl 193/2016.

Il caso riguarda un'impresa di impianti elettrici che inviava costantemente lavoratori in trasferta presso i clienti per la manutenzione. Ai dipendenti era riconosciuta un'indennità di trasferta per i giorni di effettiva attività fuori dal comune della sede aziendale con esclusione dei giorni in cui risultavano assenti per le normali dinamiche del rapporto di lavoro (ferie, permessi, malattia, infortunio).

L'impresa aveva applicato il regime fiscale previsto per le trasferte “occasionali” (articolo 51, comma 5, del Tuir), al contrario gli ispettori dell'Inps e dell'Inail ritenevano che questi lavoratori dovessero essere considerati dei trasfertisti e quindi il regime fiscale corretto era quello previsto dal successivo comma 6 (prelievo fiscale e contributivo del 50%).

La giurisprudenza di merito ha dato torto all'impresa. Il contenzioso è arrivato alla Cassazione che ha cassato la sentenza di appello e ha dato ragione all'impresa.

Il tema del regime fiscale e previdenziale delle trasferte e trasfertisti ha conosciuto 20 anni di contrasti giurisprudenziali ma ora sembra destinato a essere definitivamente risolto. Il tema negli anni è stato affrontato sul piano amministrativo sia dal ministero del Lavoro (nota 8287/2008) sia dall'Inps (messaggio 27271/2008). Gli enti hanno precisato che si applica il regime fiscale del trasfertista (comma 6) solo quando sussistono congiuntamente queste tre condizioni: la mancata indicazione nella lettera di assunzione della sede di lavoro; lo svolgimento di una attività lavorativa che richiede la continua mobilità dell'addetto; la corresponsione al dipendente di una indennità in misura fissa vale a dire non strettamente legata alla trasferta. In mancanza di uno di questi elementi si applica il regime più favorevole della trasferta (comma 5).

Questa posizione amministrativa, però, non aveva convinto alcuni ispettori dell'Inps e i relativi verbali di accertamento avevano trovato conferma in diverse pronunce della Cassazione. Per questo motivo, è intervenuta la norma di interpretazione autentica contenuta nell'articolo 7-bis del Dl 193/2016. Quest'ultima norma non ha fatto altro che attribuire forza di legge agli stessi criteri interpretativi già diffusi dal ministero del Lavoro e dall'Inps.

Tuttavia, con l'ordinanza interlocutoria 9731 del 18 aprile 2017 la Cassazione aveva messo in discussione la norma di interpretazione autentica stabilendo che «l'intervento del legislatore, ancorché autodefinitosi di interpretazione autentica…pare attribuire un significato che non poteva in alcun modo essere incluso nel novero dei significati possibili». In altre parole, secondo la Cassazione la previsione dell'articolo 7-bis innova rispetto al passato e dunque non può avere effetto retroattivo.

Su questo punto è poi arrivata la Cassazione a sezione unite 27093/2017 stabilendo che la norma di interpretazione autentica risulta conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, poichè tale norma retroattiva ha attribuito alla norma interpretata un significato non solo compatibile con il suo tenore letterale ma più aderente alla originaria volontà del legislatore.

Ora la nuova sentenza di Cassazione si allinea alle sezioni unite e sembra dare definitiva chiarezza alle imprese.

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