Contenzioso

Fallimenti e licenziamenti illegittimi, decisione al giudice del lavoro

di Angelo Zambelli

Con il regime sanzionatorio introdotto dalla riforma Fornero, la competenza giurisdizionale in caso di illegittimità del licenziamento intimato da impresa assoggettata a procedure concorsuali è del giudice del lavoro anche per quanto riguarda l’indennità risarcitoria. Così si è espressa, per la prima volta dopo la legge 92/2012, la Corte di cassazione con la sentenza 16443/2018 depositata ieri.

Un lavoratore ha impugnato il recesso per giusta causa intimatogli dal datore di lavoro in bonis. La Corte d’appello di Bari ha dichiarato l’improcedibilità del giudizio sull’assunto che, a seguito dell’intervenuta ammissione dell’azienda alla procedura di amministrazione straordinaria, la cognizione della controversia spettava in via esclusiva al giudice della procedura concorsuale. La Suprema corte ha statuito la competenza del giudice del lavoro.

L’iter argomentativo seguito dalla Cassazione muove dalla consolidata giurisprudenza formatasi in materia di ripartizione di competenza tra giudice del lavoro e quello fallimentare: permane la cognizione del primo ogniqualvolta il lavoratore richieda una pronuncia di mero accertamento, come quella in ordine alla pregressa esistenza del rapporto di lavoro, ovvero una pronuncia costitutiva, quale la domanda di declaratoria di nullità di atti di cessione di ramo d’azienda, in funzione del ripristino del rapporto di lavoro con il cedente; diversamente, in ossequio al principio della par condicio creditorum, l’accertamento dei diritti di credito nascenti dal rapporto di lavoro è rimesso alla cognizione del tribunale fallimentare, anche nell’ipotesi in cui questo presupponga accertamenti aventi funzione strumentale (a titolo esemplificativo, differenze retributive nascenti dal diritto, da accertarsi da parte del giudice del concorso, a un superiore inquadramento).

Ciò premesso, la Suprema corte - richiamando i precedenti - ribadisce la competenza del giudice del lavoro con riferimento alla domanda di reintegrazione per illegittimità del licenziamento, atteso che tale domanda si fonda sull’interesse del dipendente alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa, sia in funzione di una possibile ripresa dell’attività, sia per la coesistenza di diritti non patrimoniali e previdenziali, estranei alla par condicio creditorum.

Infine, e qui risiede la novità della sentenza, i giudici passano all’accertamento della competenza con riferimento alla «domanda risarcitoria». Ebbene, secondo la Suprema corte, atteso che - per effetto della legge 92/2012 - si è passati da una tutela indennitaria predeterminabile con certezza, perché parametrata alle retribuzioni “perse” dalla data di licenziamento a quella di reintegrazione, a una tutela indennitaria la cui quantificazione si radica su una «valutazione calibrata di elementi interni al rapporto di lavoro» (anzianità del dipendente, numero degli occupati...) «ovvero sulla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro», vale a dire «dati apprezzabili, per palese cognizione, dal giudice del rapporto», non può che essere riconosciuta la competenza del giudice del lavoro a conoscere l’«entità dell’indennità risarcitoria» (fermo l’onere del lavoratore di richiedere successivamente, al tribunale fallimentare, l’insinuazione al passivo dell’indennità risarcitoria così liquidata).

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