Contenzioso

L’ordinanza del rito Fornero vale per scegliere l’indennità sostitutiva

di Angelo Zambelli

Con la sentenza 16024/2018 la Corte di cassazione interviene sul tema dell'esercizio, da parte del lavoratore, della facoltà di opzione in favore della indennità sostitutiva della reintegrazione laddove la tutela reintegratoria sia stata accordata all'esito della fase sommaria del “rito Fornero”, il rito speciale per i licenziamenti introdotto dalla legge 92/2012.
Nel caso sottoposto all'esame della Suprema corte, la società datrice di lavoro aveva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello che aveva ritenuto che l'ordinanza pronunciata a conclusione della fase sommaria prevista dal rito Fornero – con cui quest'ultima era stata condannata a reintegrare un dipendente nel posto di lavoro e al risarcimento del danno - costituisse «valido presupposto da parte del lavoratore per esercitare l'opzione» (cosiddetto opt-out) per le quindici mensilità prevista dall'articolo 18, comma 3, dello statuto dei lavoratori.

Secondo la società, l'ordinanza non poteva ritenersi equipollente alla «sentenza» richiesta dalla norma statutaria ai fini dell'esercizio del diritto di opzione, sia in ragione del «dato testuale» sia in quanto «priva del requisito della stabilità perché suscettibile di riesame in sede di opposizione».
Tale soluzione non ha però incontrato il favore della Cassazione, secondo cui il contenuto dell'ordinanza è «del tutto sovrapponibile a quello reso con sentenza all'esito di un giudizio a cognizione ordinaria» prima dell'entrata in vigore del rito Fornero ed è dotato di «efficacia esecutiva» che – in base all'articolo 1, comma 50, della legge 92/2012 - non può essere sospesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza con cui il giudice definisce il giudizio di opposizione.

Inoltre – sottolinea la Suprema corte – «in caso di mancata opposizione nel termine fissato “a pena di decadenza”…, l'ordine di reintegrazione pronunciato nella fase sommaria diviene irretrattabile e fisiologicamente può accadere che solo da esso derivino le conseguenze previste dall'articolo 18, tra cui anche la facoltà di opzione».
Per quanto concerne, poi, la tesi della società ricorrente secondo cui ai fini dell'esercizio della facoltà da parte del lavoratore sarebbe necessario che la reintegrazione venga disposta con «sentenza» - e non, quindi, con ordinanza – la Corte di cassazione precisa che il provvedimento emesso al termine della prima fase del rito Fornero ha «tutto il contenuto» della sentenza, «compresa l'efficacia esecutiva».

Sul punto, peraltro, la Corte richiama il proprio orientamento (Cassazione 1254/2003 e 24350/2010) con cui aveva già esteso la «facoltà di opzione» all'ipotesi di provvedimento di reintegrazione emesso nell'ambito di un procedimento cautelare (articolo 700 del Codice di procedura civile), «pur non presentando necessariamente contenuto ed efficacia analoghi a quelli di un ordine di reintegrazione» emesso con la sentenza di merito in base all'articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
Quanto alla possibile revoca dell'ordine di reintegrazione alla conclusione del giudizio di opposizione, con la sentenza 16024/2018 viene precisato che «ciò non può rappresentare certo un ostacolo all'interpretazione accolta» così come – del resto – «non lo è la circostanza che anche la sentenza di reintegrazione di primo grado possa essere riformata in appello ovvero quella che dispone la reintegrazione in appello possa essere cassata o riformata a seguito di rinvio».

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