Contenzioso

Negli appalti illeciti è il committente a versare i contributi in base al suo Ccnl

di Stefano Rossi

In un appalto non genuino le retribuzione e i contributi non regolarmente versati ai lavoratori devono essere pagati dal committente. È la conseguenza del chiarimento arrivato dall’Ispettorato nazionale del lavoro con la circolare 10/2018 dell’11 luglio scorso (si veda Il Sole 24 Ore del 12 luglio).

Per assicurare l’uniformità del comportamento di tutti gli organi di vigilanza, l’Ispettorato ha fornito indicazioni operative per i casi in cui, in un appalto illecito, siano riscontrate inadempienze retributive e contributive nei confronti dei lavoratori impiegati nell’esecuzione dell’appalto stesso.

La circolare arriva a chiarire come debbano essere calcolate la retribuzione e i contributi dovuti, dopo un confronto con l’Inps e con l’Inail.

L’orientamento nel territorio

L’Ispettorato interregionale di Milano, dietro richiesta di parere da parte dell’Ispettorato di Bergamo, aveva affermato che nella prassi si assiste a un recupero contributivo nei confronti dell’utilizzatore-appaltatore che ha concretamente fruito della prestazione lavorativa, in base al principio giurisprudenziale dell’autonomia della pretesa contributiva. Questo comportamento, aveva precisato la nota 3200 del 23 marzo scorso dello stesso Ispettorato interregionale, non trova tuttavia copertura nella lettera della norma,poiché il lavoratore deve prima agire in giudizio per chiedere la costituzione del rapporto di lavoro con lo pseudo-committente.

Il parere dell’Inl

L’Ispettorato, insieme all’Inps e all’Inail, ha espresso un orientamento diverso rispetto alle osservazioni della sua articolazione territoriale.

Sul fronte retributivo, l’Ispettorato precisa che, a differenza di quanto sancito dalla precedente disciplina del 1960, nelle ipotesi di appalto illecito, la circostanza che il lavoratore sia considerato dipendente dell’effettivo utilizzatore della prestazione non è «automatica» ma è subordinata al «fatto costitutivo dell’instaurazione del rapporto di lavoro su domanda del lavoratore». Ne consegue - si legge nella nota - che in assenza dell’azione giudiziaria da parte del lavoratore, il personale ispettivo potrà emettere la diffida accertativa per i crediti retributivi solo nei confronti dello pseudo-appaltatore (in relazione alle retribuzioni non versate sulla base del Ccnl applicato), lasciando indenne il committente.

Sul piano contributivo, invece, il recupero delle somme non versate non può ritenersi condizionato dalla scelta del lavoratore di rivolgersi al giudice per ottenere il rapporto di lavoro con l’appaltante-committente. Non è necessario, cioè, che ci sia il riconoscimento della effettiva esistenza del rapporto di lavoro.

In ambito previdenziale, sostiene l’Ispettorato, vale il principio giurisprudenziale secondo cui «l’unico rapporto di lavoro rilevante verso l’ente previdenziale è quello intercorrente con il datore di lavoro effettivo».

Il personale ispettivo, quindi, determinerà l’imponibile contributivo dovuto per il periodo di esecuzione dell’appalto, con riguardo al Ccnl applicabile dal committente, «fatta salva l’incidenza satisfattiva dei pagamenti effettuati dallo pseudo-appaltatore».

La lettura offerta dalla circolare è peraltro in linea con il principio espresso dalla sentenza 254/2018 della Corte costituzionale, già oggetto di approfondimento da parte dell’Ispettorato con la circolare 6/2018. Le indicazioni dell’Ispettorato si applicano alla intera filiera degli appalti e anche nei casi di affidamento dell’esecuzione dell’appalto da parte del consorzio a società consorziate.

Il recupero contributivo dovrebbe essere esteso anche al distacco e alla codatorialità, anche nell’ambito di contratti di rete. Infatti, lo stesso Ispettorato nazionale con la circolare 7/2018 aveva esteso la responsabilità solidale prevista dall’articolo 29, comma 2, del Dlgs 276/2003 a tutti i co-datori, a far data dalla messa «a fattor comune» dei lavoratori interessati, superando, di fatto, le indicazioni offerte con la circolare 35/2013.

Il principio trova, del resto, conferma con quanto stabilito dai giudici costituzionali per cui è necessario «evitare che i meccanismi di decentramento – e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzatore della prestazione – vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell’esecuzione del contratto commerciale».

Assumono, poi, rilevanza, anche le omissioni contributive che derivano dall’applicazione di un contratto collettivo che non abbia i caratteri della maggiore rappresentatività comparativa nel settore secondo l’articolo 1, comma 1, del Dl 338/1989. La circolare 10/2018 conclude che, se il recupero non va a buon fine nei confronti dell’utilizzatore-committente, l’ammontare dei contributi può essere richiesto allo pseudo-appaltatore, che non può ritenersi del tutto estraneo alle vicende accertate.

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