Contenzioso

Distaccato in sostituzione con la legge del Paese ospite

di Matteo Prioschi

Un lavoratore distaccato in sostituzione di un altro lavoratore distaccato in precedenza deve essere assoggettato da subito, e non dopo 24 mesi, alla legislazione del Paese in cui va a lavorare. In tal caso, infatti, non si applica la previsione per cui un distaccato può continuare a fare riferimento alla legislazione del Paese comunitario da cui proviene, in particolare sotto l’aspetto previdenziale. Così ha deciso la Corte di giustizia europea nella causa C-527/16 che ha anche affermato la validità dei certificati previdenziali A1 seppur emessi per errore.

Per quanto riguarda la sostituzione dei lavoratori distaccati, la Corte rileva che l’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento 883/2004 prevede espressamente che la possibilità di fare riferimento alla normativa dello Stato di provenienza non si applichi in caso di sostituzione di un’altra persona. Questo, argomentano i giudici, per evitare che ciò possa determinare il fenomeno di lavoratori distaccati in successione per sostituirsi a vicenda con estensione nel tempo dei benefici legislativi e contributivi (spesso i lavoratori distaccati provengono da Paesi in cui il carico contributivo e quindi il costo del lavoro è più basso). Dunque, anche nel caso in cui i datori di lavoro che distaccano i lavoratori siano diversi, ma questi ultimi vadano a sostituirsi presso il medesimo utilizzatore, non si può applicare la normativa di favore a chi sostituisce il precedente.

Nell’ambito della stessa causa, però, la Corte si è espressa anche sulla validità dei certificati A1 emessi dallo Stato di provenienza, documenti che attestano “l’imponibilità previdenziale” del lavoratore presso il Paese di origine. Infatti è stato chiesto se tali certificati vincolano non solo le istituzioni dello Stato ospitante, ma anche i giudici. La risposta è affermativa, anche se la norma fa riferimento esplicito alla validità solo nei confronti delle istituzioni. Nella sentenza si legge che, in base al regolamento, tali documenti sono accettati «fintantoché essi non siano ritirati o dichiarati non validi dallo Stato membro in cui sono stati rilasciati» e ciò significa che nemmeno i giudici dello Stato ospitante possono ignorarli.

Anche nel caso in cui, aggiunge la Corte, sia stato accertato dalla commissione amministrativa prevista dal regolamento 883/2004, che tali documenti sono stati rilasciati erroneamente e devono essere ritirati, rimangono validi e vincolanti per autorità e giudici del Paese ospitante fino a quando vengono ritirati da chi li ha emessi.

Tuttavia, ricorda la sentenza, la validità ha un’eccezione nei casi di frode o di abuso del diritto, come già affermato nella causa C-359/16 (si veda il Sole 24 Ore del 7 febbraio 2018). Con tale decisione la Corte Ue ha stabilito che il giudice dello Stato ospitante può escludere l’applicazione di un certificato emesso dallo Stato di provenienza se emerge l’esistenza di una frode.

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