Contenzioso

Nel tempo determinato causale e mansione devono coincidere

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

Al fine di considerare legittimo il contratto a termine è essenziale non solo la specifica, precisa e puntuale indicazione delle ragioni oggettive che giustificano il ricorso al tempo determinato, ma anche l’effettiva utilizzazione del lavoratore nell’ambito delle attività ricomprese nelle dedotte esigenze aziendali.

La Corte di cassazione (sentenza 22188, depositata ieri) ha espresso questo principio in una controversia che riguardava la validità di un contratto a tempo determinato stipulato quando la relativa disciplina presupponeva l’attivazione del rapporto di lavoro temporaneo a fronte di una causale. Al riguardo, l’articolo 1 dell’allora vigente Dlgs 6 settembre 2001 n. 368 condizionava la valida apposizione di un termine di durata al contratto di lavoro subordinato alla presenza di «ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo». La disciplina allora vigente, superata dalle riforme portate a compimento con il Decreto Poletti (Dl 34/2014), richiedeva, inoltre, che le esigenze aziendali fossero indicate nell’atto scritto di assunzione.

Questa disciplina aveva prodotto, nell’ambito di un vastissimo contenzioso giudiziale, un indirizzo prevalente in forza del quale veniva colpito con la nullità il contratto a termine nel quale la causale non fosse indicata in termini analitici e dettagliati. Ne dà conto la Corte con la sentenza depositata ieri, nella quale viene ribadito che la validità del contratto a tempo determinato presuppone la specifica e puntuale indicazione, nel contratto di lavoro, delle circostanze che corroborano la dedotta esigenza oggettiva.

Tale specificazione, ad avviso della Cassazione, risponde all’esigenza di assicurare trasparenza e veridicità della causale riprodotta nel contratto, permettendo di verificare, tra l’altro, che il lavoratore sia stato effettivamente adibito all’adempimento di prestazioni funzionali al raggiungimento delle esigenze aziendali dedotte in contratto. In altri termini, non solo è richiesta un’analitica ed esaustiva esposizione delle ragioni aziendali che, sul piano operativo e materiale, autorizzano l’attivazione del contratto a termine in via di eccezione alla regola che prevede la costituzione del rapporto in modalità permanente, ma è anche posta come condizione essenziale l’effettiva adibizione del lavoratore a quelle mansioni che permettono di soddisfare la causale.

Sulla scorta di queste argomentazioni, la Cassazione conclude che, nel caso sottoposto al suo esame, il contratto a termine risultava invalido per essere stata la lavoratrice adibita ad attività diverse rispetto a quelle del «progetto di gestione ottica documentale» che costituivano oggetto della causale.

La pronuncia della Cassazione è più che mai attuale. La recentissima reintroduzione del meccanismo delle causali ad opera del Decreto Di Maio ripropone, infatti, le problematiche connesse non solo alla sufficiente completezza e specificità delle formulazioni riportate nei (nuovi) contratti a termine, ma anche alla loro effettiva ricorrenza sul piano sostanziale nel concreto disimpegno della prestazione lavorativa.

La sentenza n. 22188/18 della Corte di cassazione

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